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Domenica, 28 Aprile 2024
Curarsi mangiando

Curarsi mangiando

A cura di Francesco Garritano

Infiammazione, PCR, indici infiammatori e rischio cardiovascolare

I biomarcatori del siero possono rilevare cambiamenti subclinici nell'infiammazione e ci dicono tanto riguardo a ciò che sta accadendo nel nostro organismo. Ovviamente, i parametri specifici per una data malattia infiammatoria, come lo sono le malattie autoimmuni, gli stati di flogosi particolari, a volte possono essere soddisfacenti, diagnosticamente parlando, altre volte lo sono meno. Tuttavia, le proteine ​​di fase acuta di infiammazione sono spesso incluse nei pannelli di screening come marcatori sensibili di infiammazione. Le concentrazioni sono basse negli animali sani, ma possono aumentare rapidamente con l'infiammazione. Così come la VES, anche la proteina C-reattiva (PCR) dispone di una certa rilevanza clinica che suggerisce una possibile utilità nel monitoraggio del controllo di malattie infiammatorie, tumori, malattie autoimmuni, e altro ancora.

Ma vediamo insieme: che cos’è questa proteina C reattiva? La proteina C reattiva (PCR) è un indice infiammatorio, i cui valori ematici si innalzano in risposta ad un meccanismo di difesa che il nostro organismo svolge nei confronti di un corpo estraneo al suo interno. La produzione di PCR avviene principalmente a livello epatico, ma anche negli adipociti, i quali sono anche sede di produzione di citochine infiammatori importanti, in risposta a stimoli infiammatori di diversa natura. Cosa fa questa proteina nello specifico? Essa va a legarsi alla parete cellulare batterica, ed in particolare complessandosi con la fosfatidilcolina, in modo che ne possa permettere il processo di fagocitosi e la degradazione ad opera dei monociti. Quand’è che i suoi valori ematici si innalzano? Innanzitutto, i valori di riferimento della stessa sono compresi in concentrazioni tra 5-6 mg/L, ed in particolare, il valore medio della proteina C reattiva è compreso tra 0,5 mg/l e 10 mg/l, in relazione ovviamente all’età e al sesso del paziente. Quando si ha un processo infiammatorio, il valore della proteina C reattiva può raggiungere valori molto elevati, fino a 500-1.000 mg/L, suggerendo appunto un meccanismo di difesa del corpo nei confronti del patogeno.

Quali sono, in particolar modo, le condizioni cliniche che fanno innalzare i valori della PCR? Soprattutto quando ci troviamo di fronte a malattie reumatologiche, autoimmuni, infezioni batteriche, tumori e traumi, e rispetto alla velocità di eritrosedimentazione (VES), la proteina C reattiva risente maggiormente, ovvero, è più sensibile alle risposte interne di infiammazione nell’organismo. Tuttavia, un valore di proteina C reattiva cronicamente elevato è stato anche riscontrato come fattore predisponente ad un aumento del rischio cardiovascolare, così come lo è l’omocisteina sierica elevata, di cui ho anche discusso a lungo in articoli precedenti. .

Quindi, detto ciò, ora ci interroghiamo sicuramente sul fatto che questa proteina manchi di specificità. Certo, la PCR, come altre proteine ​​della fase acuta, manca di specificità e ciò richiede l'inclusione di biomarker aggiuntivi, in combinazione con le APP, gli autoanticorpi, le analisi su materiale biologico, per migliorare la specificità della malattia. Infatti, il dosaggio dei livelli ematici di proteina C reattiva, unitamente a quello di altri valori ematici quali LDL/HDL, omocisteina, colesterolo totale, APOB/APOA1, trigliceridi, serve per avere un quadro più completo dell’infiammazione, del rischio cardiovascolare, ma non può sostituirsi completamente ad essi (in quanto indice aspecifico dell'infiammazione).

Le condizioni che predispongono alle malattie immuno-mediate sono scarsamente comprese, così come lo sono per le neoplasie, per le condizioni degenerative infiammatorie, ma generalmente tali malattie sono associate ad un appropriato targeting di esami specifici, che vengono spesso eseguiti in conseguenza alla valutazione dei sintomi, dei segni e dell’evidenza di questo campanello importante d’allarme  (PCR) che lo specialista prende in considerazione.
Per questo lo ritengo un esame importante da tenere in considerazione, ed infatti, la maggiore conferma di avere davanti un quadro clinico e diagnostico di una certa tipologia riesco ad ottenerla unendo i sintomi, le evidenze strumentali, le analisi specifiche, supportate in primis da quelli che definisco “importanti campanelli d’allarme”, come lo è la PCR per esempio.

Infiammazione e rischio cardiovascolare

Valutare gli indici infiammatori, come appunto la PCR, si tratta di una metodica molto innovativa, nonostante i parametri considerati siano di tipo epidemiologico e statistico e non possano caratterizzare l'individualità di risposta infiammatoria, valutabile invece attraverso misurazioni dirette di citochine infiammatorie, come dimostrato per il BAFF . Di fatto però, questo indice di riferimento, ormai validato, si sta rivelando un importante strumento per verificare sul piano epidemiologico l'utilità di una particolare abitudine nutrizionale Il gruppo di Shivappa ha effettuato una meta-analisi per valutare la comparsa di malattie cardiovascolari e il rischio di mortalità da queste derivante, in correlazione con le abitudini alimentari e con i valori di DII. Il loro lavoro, pubblicato su Nutrients (4) ha analizzato 11 studi dei quali 9 prospettici, per un totale di 161.337 partecipanti tra cui 15.738 casi. I risultati hanno evidenziato, come per lo studio sul cancro del colon, una forte correlazione tra eventi cardiovascolari e assunzione alimentare pro-infiammatoria. Le persone con DII nel gruppo più elevato (massimo potenziale infiammatorio) hanno dimostrato un rischio di contrarre malattie cardiovascolari (mortalità derivante da queste inclusa) del 36% maggiore rispetto alle persone con un Dietary Inflammatory Index basso (minima potenzialità infiammatoria e massima protezione).

L'aumentata introduzione di prodotti alimentari sani e antinfiammatori, come queli che io consiglio nel mio protocollo anti-infiammatorio, affiancati alla riduzione nella assunzione di alimenti pro-infiammatori come alimenti processati e bevande dolcificate e zuccheri, può giocare un ruolo vitale nella riduzione del rischio cardiovascolare e della mortalità a questo correlata.

Quando nel campo della ricerca clinica si riesce a misurare quello che una volta veniva solo "supposto", si è fatto un passo importante per il futuro della medicina di segnale.

Fonti:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23911413

https://www.mdpi.com/1209884

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