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Venerdì, 26 Aprile 2024
FotoGrammi

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A cura di Maria Carola Catalano

La guerra in Ucraina nei reportage di Giorgio Bianchi

"Nei miei progetti non c’è mai nulla di già scritto, è un puzzle che si compone giorno dopo giorno. Solo ad un certo punto quando la storia comincia a prendere forma mi dedico alla ricerca delle 'tessere' mancanti". A dire queste parole è Giorgio Bianchi, fotografo romano nato nel 1973 che in questo momento si trova in Ucraina per raccontare, con i suoi scatti, la guerra nei territori occupati dai filorussi. Si trova lì già da metà febbraio per il portale 'Girandoloni.com', un nuovo progetto giornalistico, voluto da Giampiero Venturi, che affronta argomenti di politica internazionale e di grande attualità ma dedica ampio spazio anche a tematiche molto più leggere. I primi di marzo, Bianchi si trova a Donetsk, nell'Est del Paese, una terra dove l'esercito regolare di Kiev combatte contro i soldati separatisti dell'autoproclamata Repubblica di Donetsk, filorussa e non riconosciuta dall'Occidente.

Ecco alcune foto che immortalano scene di vita quotidiana nella postazione del battaglione "Skorpion":

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Mercoledì l'ultima mortale esplosione che nella zona ha provocato in una miniera decine di morti e dispersi. 

Donetsk © Giorgio Bianchi

Giorgio conosce bene l'Ucraina (su Girandoloni tutte le foto). C'è già stato l'anno scorso durante la rivolta di Maidan e con il suo reportage "Behond Kiev's barricades" ha documentato quei momenti. Il suo lavoro ha vinto due importanti premi, il primo come Best new talent al "Prix de la Phoyographie, Paris" e il secondo come Overall winner del Terry O' Neill Award 2014, istituito in partnership con il quotidiano The Guardian ,che ha poi pubblicato le sue immagini. Nonostante questo, Giorgio non è molto conosciuto in Italia. Per colmare questa lacuna e rendere giustizia al suo coraggio e al suo lavoro ripropongo qui alcune delle foto vincitrici.

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L'ho intervistato per farmi raccontare quello che non si vede, ovvero il lavoro preparatorio necessario per realizzare reportage come questi.

Reportage di questo tipo richiedono una lunga fase organizzativa iniziale, soprattutto per quanto concerne la burocrazia e la logistica, senza trascurare la preparazione del terreno per la futura vendita delle immagini. 

Dove alloggi?

Donetsk, ho preso in affitto un appartamento: 100 euro circa per un mese, ove per una stanza in albergo arrivano anche a chiederti 150 dollari a notte. La maggior parte degli hotel al momento è chiusa e quelli che sono rimasti aperti speculano alla grande. E’ stato un tassista conosciuto alla stazione degli autobus a trovarmi questa soluzione. Bisogna farsi aiutare dalle persone, osservarle un attimo per capire se “dietro il grembiule c’è la faccia giusta” come consigliava Terence Hill ad Henry Fonda nel film “Il mio nome è nessuno”. Ogni mestiere ha la sua “faccia giusta” ovvero quella della persona per bene che sa fare il suo lavoro; ebbene una volta scovate, queste persone ti aiuteranno a risolvere molti problemi.

Addentrarsi in territori di guerra è rischioso ed è necessario prendere degli accorgimenti, quali?

Mi muovo quasi sempre a piedi e solo quando non ne posso fare a meno ricorro ai mezzi pubblici. La strada è sempre il punto di partenza del mio lavoro. Ogni giorno, quando al mattino presto mi metto in moto, non so mai come alla fine si concluderà la giornata. Koudelka diceva che le foto si fanno con i piedi ed è verissimoOgni giorno cammino una media di 6/7 ore, il più delle volte non avendo la più pallida idea di dove mi trovi; ma è solo così che a mio vedere è possibile uscire dalle rotte già solcate, incontrare qualcosa che altri non hanno già trovato.

Nelle tue foto, oltre all'ambiente, hanno molto spazio le persone; come sei riuscito a comunicare con loro?

Io cerco, per quanto possibile, di seguire il flusso degli eventi, di andare con la corrente, di comunicare il più possibile con le persone, anche quando le distanze linguistiche sembrano siderali. E’ straordinario scoprire in quanti modi si possa interagire se si ha veramente il desiderio di farlo. Dove poi non arrivano i gesti, le poche parole che si conoscono della lingua locale, l’inglese o gli schizzi su un taccuino può tornare utile il traduttore simultaneo dello smartphone (rete permettendo). 
 

Perchè tra i tanti territori di guerra hai scelto proprio il Donbass?

Perché su questa gente si è abbattuta una “disinformazia” senza precedenti. Perché solo pochissimi, tra i grandi media nazionali ed internazionali, si stanno prendendo la briga di spiegare cosa stia accadendo qui. Quando dei civili vengono bombardati per mesi senza tregua, quando case, scuole, ospedali cadono giorno dopo giorno sotto il fuoco delle bombe il silenzio dei media non è più soltanto assordante ma colpevole. Non sarò certo io a spiegare cosa sia successo o a puntare il dito contro qualcuno ma almeno spero con il mio lavoro di aver aperto uno spiraglio sulla catastrofe umanitaria che si è abbattuta su questa gente.

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