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Martedì, 30 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Case del popolo? Diciamo città giusta

Capita di leggere un bell'articolo sul New York Times, che riassume lo stato dell'arte della Questione delle Abitazioni nella metropoli ancora centro e simbolo della cultura occidentale. Racconta dal punto di vista afroamericano e più in generale delle fasce a basso reddito, la contrapposizione frontale urbana-suburbana e quella, connessa, ambientalismo conservatore versus giustizia ambientale. Parola chiave: NIMBY. Letti però nell'accezione caratteristica del luogo e dei tempi. Cioè non espressione seppur locale e spontanea di qualche disagio di fronte a trasformazioni ambientali-territoriali sgradite, ma protagonisti di una specie di rivolta dei ricchi, del tipo raccontate da James Ballard nei suoi romanzi di fantascienza distopica. I Nimby newyorchesi sono lo schieramento sociale e politico suburbano ricco bianco e Repubblicano, contrario alla riforma urbanistica proposta dalla Governatrice Democratica dello Stato. La quale riforma urbanistica, diciamo delle Norme Tecniche di Zona per essere più specifici, vorrebbe vietare o fortemente contenere la destinazione a case unifamiliari sia nei Piani Regolatori delle circoscrizioni propriamente suburbane, sia nelle varianti periferiche dei medesimi strumenti di programmazione delle città maggiori, da New York a Buffalo a Syracuse, là dove appunto ci sono quelle infinite distese di lindi villini con steccato bianco e facce altrettanto bianche e bionde affacciate alle finestre.

Un ambientalismo carico di identità e conservazione politica quello dei borghesi suburbani americani, che in sostanza non vogliono modificare l'antico regime di convenzioni e norme urbanistiche dell'immediato dopoguerra e della stagione di "White Flight", corrispondente alle rivendicazioni di diritti civili degli afroamericani. Quando, nero su bianco c'era scritto che lì prima di tutto era assolutamente vietato lottizzare e costruire secondo dimensioni diverse da quelle della classica villa con giardino privato consultabile nel catalogo del costruttore. E in secondo luogo, che la convenzione condominiale escludeva dall'acquisto famiglie prive di alcuni requisiti, ovvero sostanzialmente diverse da quelle protagoniste dello "White Flight" di cui sopra. A costruire l'omogenea villettopoli monorazza monoreddito che ha letteralmente fabbricato quella montagna di letteratura e cinema sociale che conosciamo da generazioni, ma ha anche partorito la parallela montagna nota come "crisi della casa". Perché se ci sono solo le villette lì, ci starà anche poca gente, non più di tanta anche a stiparcela dentro: dove andranno le famiglie fisiologicamente prodotte dalla crescita della popolazione? Lo spiegano certi pur faziosi "economisti urbani" di stampo liberale conservatore: se di case ne fabbrichi poche, agendo in negativo sull'offerta, ci sarà un divario crescente sulla domanda che fa impennare i prezzi. E la destinazione a villette unifamiliari è la fabbrica di quel meccanismo.

Quindi lo scontro urbanistico-identitario politico ambientale, e addirittura paesaggistico della Governatrice Democratica con i Rappresentanti Repubblicani eletti dal suburbio, sta tutto dentro il fronte liberale conservatore del mercato immobiliare, "più densità meno densità”? In realtà no, altrimenti non si sarebbe scomodata la giornalista d'assalto afroamericana e metropolitana a sostenere la governatrice e a stigmatizzare i comitati bianchi Nimby. C'è di mezzo la variante Casa Economica, in affitto o a riscatto che sia, rivolta al dilagante popolo di chi, per razza censo cultura situazione lavorativa, alle villette con lo steccato non potrebbe comunque accedere. E che vede nella cosiddetta "densificazione" di edifici multi piano, condomini, palazzine, quartieri di carattere comunque più urbano -magari attorno a una stazione dei treni pendolari verso Manhattan-, la soluzione al caro affitti o caro mutui. Ovvero: una vera riduzione del mercato alle dinamiche domanda-offerta. Ovvio il sommarsi di una questione ambientale a una sociale, in modi però più complessi di quanto non appaia vedendo le discussioni dalle nostre parti su entrambi gli argomenti.

Dove i borghesi dei comitati «contro il consumo di suolo», di fatto quel consumo di suolo lo promuovono altrove, lontano dagli occhi lontano dal cuore, impedendo varianti urbanistiche a volte speculative a volte meno, che di fatto aumentano l'offerta di case, esattamente come auspicato da chi le cerca. Ma sappiamo che il mercato non è quel luogo ideale che ci raccontano gli economisti liberali conservatori: scavalcare le resistenze delle signore inferocite contro il progetto di palazzine accanto alle loro villette, di per sé non significa agire per la Abitazione Economica e men che meno Popolare. Come ci insegna la storia qui il percorso è un altro; e riguarda la Proprietà di quella casa, che poi condizionerà il ruolo urbano, le condizioni di godimento, l'organizzazione sociale e, storicamente, anche l'ambiente esterno. C'è tutta la vicenda dei quartieri di iniziativa pubblica o a sovvenzioni pubbliche del '900 a raccontarci cosa si può o cosa non si può fare su quel versante di mutui agevolati, cooperative divise o indivise, politiche di cosiddetto "Inclusionary Zoning" pubblico-privato, case sociali vere e proprie, fino ai progetti casa-ricovero per senzatetto più prossimi all'assistenza che alle politiche urbane in senso stretto. Ma tutto legato dentro l'Idea di Città che si sostiene. Sempre ad avercene una, ovviamente. O a volersela fare.  

Mara Gay, La Questione delle Abitazioni ha radici urbanistiche lontane

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