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Martedì, 30 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Convertire le torri svuotate dal telelavoro in case di lavoratori a distanza

Esce in questi giorni a Milano il primo rapporto sulla crisi delle abitazioni locale (e anche meno locale come metodo visto il tema) dal significativo titolo "Non è una città per chi lavora" curato da ricercatori specializzati e associazioni sul territorio, sostenuti da un prestigioso Comitato Scientifico internazionale, dove specificamente si prova a porsi la domanda da un milione di dollari: "Nella città che vanta di essere la più attrattiva e di offrire il miglior mercato del lavoro in Italia, c’è chi un lavoro non ce l’ha, e chi, pur avendolo, non può permettersi una abitazione dignitosa. Qual è la relazione tra redditi, retribuzioni e costi di accesso alla casa a Milano?". Concludendone in sintesi che nelle condizioni socioeconomiche urbane e politiche attuali, e certamente non destinate a ribaltarsi tanto in fretta, da un lato si deve dichiarare come in tutto il mondo – quello non più accecato dal mito della mano Invisibile del Mercato – l'obiettivo della "nazione di proprietari" sia tramontato insieme a quello della piena occupazione e della crescita continua di redditi e consumi; dall'altro che accettando l'esistenza della casa come merce della rendita urbana o addirittura – estremizzando - dell'immobiliarismo come forza egemone dello sviluppo locale, auspicando che la politica sappia almeno provare a redistribuire la ricchezza prodotta dalla macchina città, per citare alla lettera il rapporto quel "valore prodotto ma non collettivamente condiviso e partecipato".

Milano era anche la città dove il sindaco Beppe Sala non molto tempo fa parlava di "angoscia per le torri terziarie svuotate dalla pandemia e dal telelavoro". E questo ci porta a un altro studio di recentissima pubblicazione negli Stati Uniti, dove il medesimo problema è vissuto da assai più tempo e ha prodotto un corposo sedimentarsi di riflessioni scientifiche e politiche. Come la serie di studi sugli immobili terziari sostanzialmente dismessi e in via di degrado/abbandono nelle downtown terziarie delle grandi città che secondo la Brookings Institution – promotrice di convegni e dibattiti oltre che pubblicazioni – indicano la via della riconversione da spazio di lavoro a spazio residenziale. Da pochi giorni è stato reso disponibile un ultimo studio, stavolta di iniziativa di The Hamilton Project, dove si provano a sommare e sovrapporre due percorsi di riconversione: quello funzionale e quello climatico-ambientale, nella prospettiva pubblico-privata del co-finanziamento locale e federale. Certo dire "convertiamo gli uffici in abitazioni" non è cosa nuova: in tempi recenti e proprio a Milano l'aveva fatto il candidato alle Primarie Pd da sindaco, Stefano Boeri, ma si trattava di un approccio sia politico-elettorale che "da architetto" ovvero sostanzialmente fuori mercato, che si appellava certo a buon senso e valori, ma mancava del realismo e sistematicità di uno studio rigidamente economico, e tutto dentro la logica immobiliarista dell'edificio-merce che pare al momento l'unica praticabile.

Non perché la questione delle abitazioni, o se è per questo anche le "torri svuotate dal telelavoro" o l'adeguamento edilizio climatico-ambientale, non possa essere occasione di un rilancio di politiche pubbliche innovative e riformiste, fino alla casa popolare, ma pur sempre uscendo dalla petizione di principio o peggio del progetto utopico "pilota". Lo studio americano, dal titolo Converting Brown Offices to Green Apartments, si muove contemporaneamente accettando sia la logica del libero mercato immobiliare (e per esempio del crollo delle quotazioni di alcune tipologie di immobili), sia anche quella del massiccio trasferimento-redistribuzione di risorse da pratiche dannose per il clima e l'ambiente, ad altre virtuose come quelle che risparmiano energia e riducono anche drasticamente le emissioni clima-alteranti. Alla lettera lo studio, corredato di un modello matematico di calcolo in cui inserire i dati e le variabili, vuole essere un pratico "contributo alla soluzione di tre urgenti problemi: la sovrabbondanza di spazi a ufficio in una società sempre più orientata a posti di lavoro a distanza o presenza minima, l'offerta insufficiente di abitazioni, le emissioni di gas serra". E forse vale davvero la pena di rifletterci sopra molto laicamente. Pensando per esempio che a parte la variabile conversione uffici, del tutto assimilabile, non siamo lontanissimi da una versione più seria e sostenibile del nostro vituperato 110%.

La Città Conquistatrice – Non è così facile dire "trasformiamo gli uffici vuoti in case"

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