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Domenica, 28 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Coraggio: fatti riqualificare!

Moltissimi anni fa un brillante giovane sociologo italiano, nell'epoca in cui la stessa sociologia nel nostro paese era cosa assai misconosciuta (e del tutto assente in quanto tale dagli studi universitari), dedicava il suo lungo saggio introduttivo al best seller internazionale «L'Uomo dell'Organizzazione» a un aspetto apparentemente marginale di quell'opera: l'equilibro tra etica individuale ed etica sociale come fondamento della nazione americana e di tutto ciò che essa andava significando nella nascente globalizzazione socioeconomica (al netto della pure nascente guerra fredda col socialismo reale). Ed era importante, spiegare al nostro popolo appena sbarcato in massa nel mondo della democrazia liberale, economica e politica, quella differenza ed equilibrio, così diversi dalla contrapposizione frontale individualismo-bene comune a cui spontaneamente si fa riferimento. Soprattutto perché appartiene alla realtà quotidiana più tangibile, alle relazioni di lavoro, ai comportamenti urbani, familiari, e anche istituzionali. Nella città moderna ha prodotto per esempio prima la «agrimensione urbana» della scacchiera o griglia (non è importante l'angolazione delle vie quanto la sua esistenza di diritto) che divide lo spazio privato da quello pubblico; e in seguito anche l'ulteriore articolazione per zone omogenee che tutela la proprietà privata da un'altra proprietà privata potenzialmente concorrente.

Sono i due principi concorrenti di organizzazione spaziale chiamati in modo distinto Planning e Zoning, che la nostra cultura ha unificato nel francesismo Urbanistica, e proprio questa unificazione ahimè tende a mescolare e confondere confondendo l'idea del piano, che attiene a una ricomposizione di interessi anche contrastanti, con quella del progetto sostanzialmente riassuntivo di uno specifico interesse particolare. Che nella cosiddetta «svolta liberale» (o meglio neo-liberale) successiva all'estinguersi delle utopie socialiste mal realizzate ha finito per bollare ogni tentativo di ricomposizione o programmazione come «dirigista» autoritario intollerabile, promuovendo invece la formazione di recinti proprietari dentro i quali può succedere di tutto, una volta perimetrati per ragioni che assomigliano più a quelle dell'ordine pubblico che alla urbanistica pubblica. Nelle norme e nelle pratiche ciò corrisponde al passaggio dai piani attuativi (che peraltro potevano anche essere di iniziativa privata, diciamo anche soprattutto, oltre che pubblica), ai cosiddetti Master Plan. Piani solo di nome e in alcune forme esteriori procedurali, che in realtà sono grandi progetti «di mercato» dove tutto in sostanza avviene secondo le convenienze di chi ci mette risorse e aspettative. Naturalmente non può mancare l'idea di pubblica utilità, ma si tratta di una pura discrezionalità più simile a quella detta «responsabilità sociale dell'impresa» che doverosa adesione a un'idea di città collettiva predeterminata.

E si è così radicata nelle culture e nelle pratiche urbane, questa etica individuale senza anticorpi, contro cui provava ad avvertirci tanti anni fa il sociologo, da aver prodotto una corrente accettazione del famoso: non sappiamo che farcene del piano regolatore noi ci pianifichiamo benissimo da soli. Succede di questi tempi nel laboratorio Milano, quando emergono in diverse trasformazioni recenti casi di piccolo Master Plan del tutto soggettivo, illegale nelle forme, accettato nella sostanza. Ed emerso nella sua illegalità solo grazie a quelle opposizioni pregiudiziali a qualunque importante trasformazione urbana, di solito ipersensibili alla quantità di volumi costruiti, al punto da usare lo strumento della denuncia e del ricorso invece di quello della pressione politica. La legge, evidentemente obsoleta e inadeguata per alcuni, per tanti, dice che oltre certe dimensioni di intervento è obbligatorio presentare un piano, una cosa che prevede procedure, compensazioni, un'idea urbana collettiva. Non un progetto, per quanto carino e ammiccante al mercato. Si tratti anche solo della perimetrazione del recinto col Master Plan, un piano ci deve essere, e deve rispondere a qualche regola di metodo. Macché: oggi tutti le regole vogliono farsele da soli, anche a rischio di andare a processo ed essere condannati. Credono per fede liberista nel principio dell'etica individuale. Il Geometra Callaghan praticamente.

La Città Conquistatrice – Riqualificazione urbana

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