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Lunedì, 29 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

La Fortezza Bastiani della Medicina Modernista

Quando Cesare Chiodi nel 1937 pubblicava «La proprietà terriera dell'Ospedale Maggiore di Milano – I progetti di bonifica edilizia ed idraulica» era ben consapevole di non raccontare solo in modo articolato e dettagliato quanto fosse vasto il territorio rurale e il patrimonio finanziario controllato dal grande Ente sanitario fondato nel Rinascimento e ancora fondamentale nel determinare i destini dell'area metropolitana di Milano. La ricerca escludeva strumentalmente sin da principio «trascurando gli immobili urbani in Milano» il pur determinante ruolo ordinatore che il patrimonio dell'ospedale aveva nell'urbanistica centrale, pur avendone ampiamente colto i termini lo stesso Autore in saggi precedenti, per esempio in quello del 1925 dedicato a «Come Milano affronta la formazione del nuovo Piano Regolatore». In cui da Assessore all'Edilizia che quel Piano lo sta iniziando a istruire sottolinea l'enorme ruolo della grande proprietà immobiliare sia pubblica che privata, dalla zona urbana edificata a quella ancora rurale dei Comuni accorpati nel 1923. In altre parole con questi grandi soggetti e i loro programma occorre sempre confrontarsi in termini dialettici anche solo per abbozzare qualunque idea di città.

Osservando ad esempio come l'espansione più moderna della rinascimentale Ca' Granda oltre la Cerchia dei Navigli, un tempo semplicemente scavalcata dal trasporto dei cadaveri verso la sepoltura comune al cimitero Rotonda della Besana, avvenga in termini edilizio-urbanistici diversi da quelli del chiuso complesso originario adibito a Università. L'Ospedale Fortezza chiuso si apre in una sorta di Quartiere della Salute in un rapporto diverso con la città di cui pare accettare il tessuto, l'accessibilità, l'interscambio. Ma alla articolazione formalmente planimetrica e del reticolo viario vanno sempre affiancate sia la proprietà unica, sia la cultura disciplinare che sottende le attività svolte dentro quegli spazi, sia la teoria modernista e non solo di una certa segregazione e specializzazione funzionale. Qualcosa più di una impressione da specialisti o cultori di urbanistica, questa idea del «fortino medico virtuale» dove lo spazio pubblico della città viene di fatto privatizzato dalla funzione unica che pervade tutto un quartiere. In fondo con criteri non diversi (salvo il dispiegamento storico) da quelli descritti da Anna Minton nel suo «Ground Control»: che si applica alle riqualificazioni urbane commerciali dei Business Improvement District, ma potrebbe farlo in tante altre diverse funzioni e casi.

Oggi, coi grandi cantieri di riqualificazione e ricostruzione dell'intero quartiere del Policlinico, leggendo le dichiarazioni e intenzioni dei promotori non si può che confermare questa impressione. Se è vero che, come recita l'opuscolo promozionale del progetto: «Il Nuovo Policlinico sarà un ospedale aperto e accessibile non solo ai pazienti e alle loro famiglie, ma a tutta la città. Nel cuore di Milano saranno realizzati percorsi di cura dedicati ma anche luoghi pensati per il relax e per vivere la quotidianità», significa che quel quartiere della salute apparentemente e formalmente integrato alla vita urbana, diciamo tendenzialmente mixed-use, non lo era affatto: né nella realtà né nella percezione dei più direttamente interessati. Che possiamo definire medici, o cultura della salute, o committenti di quel grande piano di trasformazione urbana.

Osservando però i disegni (presentazione del progetto di Stefano Boeri Gianandrea Barreca e Giovanni La Varra scaricabile da Drive) non si può fare a meno di pensare ad altro che non ad un ospedale, ad un fortino medico sanitario. Che potrà anche benissimo tenere come si dice le «porte aperte», ma che come le classiche Gated Community o simili sarà sempre altro rispetto alla città, al suo tessuto, alle sue relazioni. Certamente più per volontà della committenza, della sua idea di presidio medico, che per scelta specifica degli architetti. Del resto lo sappiamo da tempo che l'architettura può partecipare alla costruzione della città ma non determinarne i modi.

La Città Conquistatrice – Salute

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