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Sabato, 27 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

I piazzisti dell'utopia

Chiunque sentendo la parola utopia si immagina, anche giustamente e spontaneamente, l'isola galleggiante di Jonathan Swift abitata solo da eccentrici scienziati, o qualche comunità hippy del deserto dedita al digiuno e alla meditazione, insomma una condizione ideale e/o sperimentale abbastanza estrema, distante, che serve giusto a solleticare la fantasia. Ci sono però altre utopie raccontate in modi meno fantasiosi, che da un lato la fantasia la stimolano di fatto parecchio, e dall'altro trovano una realizzazione pratica, spesso combinando danni. Un vituperato esempio è quello della città macchina immaginata dalle avanguardie all'alba del '900, che notoriamente non somiglia affatto a isole galleggianti o comunità sognanti, eppure delle utopie condivide tutta la narrazione. Ci sono quei disegni a loro modo affascinanti che dagli anni '20 del secolo scorso in poi traboccano da riviste, giornali, e poi dalle foto dei nuovi quartieri: spazi moderni per la società moderna. E tutti i rappresentanti di quella società moderna o aspirante tale, affascinati dall'utopia, ci si riversano dentro volentieri, con entusiasmo, per poi scoprire la realtà, ovvero che dentro la rivoluzione urbana loro sono più vittime che protagonisti, e quei quartieri, quegli edifici angolari e incombenti, inizieranno presto a odiarli, fino alla purificazione simbolica delle cariche di dinamite che fanno in briciole le case popolari Pruitt-Igoe di St. Louis nelle famose sequenze rimbalzate in tutto il mondo anni dopo col documentario Koyaanisqatsi.

È importante capire soprattutto il meccanismo, di questa narrazione dell'utopia, perché sta alla base di tantissime iniziative commerciali a cui non ci sogneremmo mai di applicarla. Oggi ad esempio pervade quelle immagini di futuro auspicabile proiettate dalla smart city o dalle innovazioni tecnologiche di grande impatto come l'automobile senza pilota. Un impatto per adesso solo mediatico, o magari finanziario se pensiamo alle oscillazioni in Borsa delle compagnie ad ogni nuovo annuncio di «progressi» dei quali sappiamo in realtà poco o nulla. Ciò non impedisce però, ad esempio, ampie esercitazioni e pratiche utopiche collaterali di tipo dichiaratamente commerciale, e analoghe a quelle della città-macchina razionalista novecentesca descritta sopra. Recentemente lo Urban Land Institute, da sempre rappresentante del mondo edilizio-immobiliare attento a modo suo alle trasformazioni sociali, ha iniziato la pubblicazione di ipotesi spaziali, legislative, tecniche, legate a questo possibile (e si considera probabile) nuovo mondo, dove si parte da un presupposto base: morta l'auto in proprietà, morti anche tutti gli spazi ad essa dedicati.

La driverless car sarà presumibilmente in condivisione, e comunque farà crollare il numero dei veicoli circolanti si dice fino al 90% e oltre. Un'auto che in pratica non sta mai ferma (a differenza delle attuali, immobili 23 ore su 24 in media) di fatto abolisce la necessità di qualunque standard a parcheggio, sosta, garage di casa. Anche la carreggiata stradale potrà fare a meno, grazie alla maggiore efficienza e sicurezza dei nuovi veicoli robot, di una miriade di superfici sinora occupate per manovre, distanze, impianti e interfacce. Mastodontica a dir poco, la quota di superfici urbane e suburbane che si immaginano liberate da questo peso, e quindi aperte a nuove funzioni: quali? Proprio qui si esercita il nostro centro studi permanente degli immobiliaristi, ipotizzando per esempio nuovi criteri di densità urbana (e relativo contenimento del consumo di suolo extraurbano, ci viene sempre specificato) resi possibili in parallelo proprio dalla sola evaporazione degli standard a parcheggio.

Da lì in poi in realtà l'esercizio pare abbastanza meccanico, e altro non potrebbe essere in questa logica dove si ripete forse inconsapevolmente l'equivoco razionalista: provvediamo i nuovi spazi dell'utopia, e ci riversiamo dentro la società dandole nuove forme. Non è evidente l'azzardo? Pensiamo cosa è accaduto con una sciocchezza come lo smartphone, che lo spazio si limitava a sfiorarlo, siamo sicuri che la società dell'auto senza pilota e della smart city abbia qualche propensione a riversarsi dentro casette e spazi pubblici evidentemente concepito con l'occhio al mercato attuale? E soprattutto: esiste una ricerca indipendente urbanistico-architettonica-sociologica che prova a dirci qualcosa di alternativo?

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