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Sabato, 27 Aprile 2024
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"Ogni sera mi legava, dopo mi violentava": parlano le vittime del seviziatore di profughi

A incastrare Osman Matammud, il ventiduenne somalo che gestiva un centro di raccolta profughi in Libia, sono state proprio le sue vittime, donne e uomini. Ecco i loro atroci racconti

MILANO - “Io non sono somalo, non sono musulmano, sono il vostro padrone”. Sono tutte qui, nelle parole pronunciate di fronte a chi gli chiedeva - lo implorava - di smetterla, la perversa follia e la sete di onnipotenza di Osman Matammud, il ventiduenne arrestato a Milano lo scorso 23 settembre e ora in carcere con le accuse di sequestro di persona a scopo di estorsione, omicidio plurimo e violenza sessuale aggravata, anche su minorenni. 

Le manette ai suoi polsi, ritenuto il “padrone” di un centro di raccolta profughi di Bani Walid - in Libia -, sono scattate quasi per caso, per un incontro fortuito avvenuto alle 15.30 di quel giorno fuori dal centro profughi di via Sammartini a Milano. A riconoscerlo, perché per loro il suo volto sarà per sempre indimenticabile, sono state due ragazzine somale - una ancora minorenne e una appena maggiorenne - che fino alla metà del 2016 erano state sue vittime. Con coraggio e desiderio di giustizia sono state proprio loro, insieme ad alcuni connazionali, a bloccarlo e farlo arrestare dalla polizia locale, che lo ha subito messo in cella a San Vittore con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Quell’immigrazione clandestina che per Matammud - conosciuto dagli altri come Ismail - era un vero affare, con un prezzo di settemila dollari per ogni persona da far entrare illegalmente in Italia. L’arrivo sulle coste siciliane, però, per i “disperati” disposti al “viaggio della speranza” era soltanto l’ultima pagina di un libro fatto di orrore, morte, violenza, con la firma di Matammud, che gestiva l’ultimo centro in cui i profughi restavano prima di imbarcarsi. 

I migranti in partenza, centinaia di donne e uomini - quasi tutti somali -, venivano rinchiusi in condizioni igieniche precarie, dormendo per terra, con un solo bagno e “scarsamente alimentati”. Dal 2015, fino a metà 2016, nel campo di Bani Walid - hanno accertato gli inquirenti - “Matammud e i suoi uomini ogni giorno prelevavano uomini dal capannone per portarli in una vera e propria stanza delle torture”. Ancora peggio andava alle donne, portate “nel suo appartamento - del ventiduenne somalo - dove si consumavano gravissime violenze sessuali”. 

“Sono stata quattro mesi nel centro di Bani Walid”, ha raccontato una ragazza, ancora minorenne, agli agenti della polizia locale e agli inquirenti. Proprio a loro, in lacrime ma con la forza dei ricordi, ha descritto la sua prima notte in quello che il pm Marcello Tatangelo ha descritto come un vero “campo di concentramento".

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