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Domenica, 28 Aprile 2024
Il processo / Napoli

Morto per una trasfusione di sangue infetto: lo Stato condannato a pagare un risarcimento milionario

La sentenza del tribunale di Napoli: il ministero della Salute dovrà risarcire i familiari di un uomo originario di Mugnano di Napoli, che nel 1985 ha contratto l'epatite C a causa di una trasfusione di sangue infetto. Un virus che poi lo ha portato alla morte

Il ministero della Salute è stato condannano a pagare un risarcimento di oltre un milione di euro alla famiglia di D.L., un uomo deceduto dopo aver ricevuto una trasfusione di sangue infetto. Tutto è iniziato nel 1985 quando l'uomo, all'epoca 47enne, venne ricoverato al centro traumatologico ortopedico (CTO) di Napoli a causa di una frattura al femore e sottoposto a una trasfusione. Soltanto 15 anni dopo scoprì la verità: aveva contratto l'epatite C, un virus che poi lo ha portato alla morte, tra atroci sofferenze, nel giugno del 2015.

Ministero condannato: maxi risarcimento alla famiglia

Secondo i familiari a causare l'epatite C sarebbe stata proprio una sacca di sangue infetto. Una tesi accolta dai giudici del tribunale di Napoli, che hanno condannato il Ministero della Salute al pagamento di un maxi risarcimento.  Oltre 171mila euro alla moglie dell'uomo (che all'epoca del decesso aveva 77 anni) e i quattro figli della coppia (che sempre nel 2018 avevano un'età compresa tra dai 51 ai 43 anni), oltre ad altri 195mila euro quale danno biologico terminale e danno catastrofale. In tutto più di un milione di euro, oltre alle spese di interesse, a quelle relative alle competenze professionali del legale che ha seguito la vicenda e per il consulente tecnico d'ufficio.

Morto a causa di una trasfusione di sangue infetto

Come detto, il caso di D.L., un uomo originario di Mugnano di Napoli, inizia nel 1985 con un ricovero per la frattura del femore, per la quale fu sottoposto ad una trasfusione di sangue nel 1985 presso il CTO, sangue rivelatasi poi, secondo la tesi del tribunale, infettato dal virus dell'epatite C. Nel 2000 l'uomo scopre di aver sviluppato il virus e muore all'età di 77 anni. Da quel momento è iniziata la battaglia della moglie e dei figli, come spiegato dal legale, Piervittorio Tione: "I familiari hanno deciso di adire il tribunale partenopeo per ottenere la condanna del Dicastero della Sanità al pagamento di un risarcimento sotto un duplice profilo: per il cosiddetto danno 'iure hereditario" (e cioè i danni fisici e morali che spettavano al soggetto trasfuso e poi trasferiti, in virtù della sua morte, agli eredi) e per il cosiddetto danno 'iure proprio', cioè danno morale (non patrimoniale) che spetta ai congiunti più stretti (coniuge e figli) che vedono finire in modo traumatico la relazione con il proprio caro". 

Un lungo iter processuale che si è concluso nei giorni scorsi quanto la sezione del tribunale di Napoli, presieduta dal giudice Maria Rosaria Giugliano, ha riconosciuto la colpevolezza del Ministero della Salute. "Il caso degli eredi di D.L. - ha aggiunto l'avvocato Tione - è particolare, in quanto gli stessi sono riusciti a dimostrare che è esistito il nesso-collegamento tra la trasfusione di sangue subita nel 1985, l'insorgenza e la diagnosi dell'epatite, l'evoluzione in cirrosi e il decesso; a far condannare il Ministero della Salute per omissione di controllo sul sangue; a far condannare il Dicastero al risarcimento dei danni (fisici e morali) che spettavano a D.L.; a far condannare il Ministero al pagamento dei danni proprio per la perdita della relazione affettiva-familiare. Adesso, vinta la causa, che di certo non restituirà il proprio caro alla famiglia, ma che ancora una volta sancisce la responsabilità grave ed esclusiva dello Stato per le tante morti da sangue infetto, viene il compito più arduo: spingere il Ministero a pagare quanto meritatamente ottenuto davanti a un tribunale in tempi relativamente brevi".

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