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Sabato, 27 Aprile 2024
Caporalato / Ancona

Operai ridavano indietro metà busta paga: "Meglio avere 600 euro che vendere rose in strada"

È in corso al tribunale di Ancona un processo per sfruttamento del lavoro di manovali bengalesi. Due gli imputati, i mandanti del titolare di una azienda che lavorava in appalto per coibentare scafi navali

Sapevano di essere sfruttati ma meglio dover ridare indietro metà del loro stipendio a chi li aveva assunti "che vendere le rose in strada", dicevano. A fargli aprire gli occhi i sindacati. Per tre anni, tre operai bengalesi assunti con contratto a tempo determinato da una ditta di appalti che lavora all'interno di Fincantieri, al porto di Ancona, specializzata nella coibentazione di scafi navali, avrebbero restituito metà del loro stipendio da 1.200 euro al datore di lavoro, che mandava due suoi collaboratori a riscuotere la cifra in contanti.

Uno stato di bisogno legato anche al permesso di soggiorno per rimanere in Italia che li aveva portati ad accettare quella condizione di sfruttamento. La vicenda di presunto caporalato, denunciata nel 2019 ma andata avanti dal 2017, è finita ora a processo al tribunale di Ancona, dove è stata proprio la segretaria generale della Fiom Cgil Marche a raccontare in aula i fatti come testimone dell'accusa. Era stato il sindacato, parte civile nel processo, a far partire l'esposto alla guardia di finanza, dopo le confidenze degli operai.

"Abbiamo una saletta per gli incontri dentro lo stabilimento Fincantieri Ancona - ha riferito in aula Galassi - all'epoca ero funzionario e seguivo le ditte di appalto per garantire i diritti essenziali ai lavoratori sui quali non correvano buone voci. Gli operai ci confidarono che due incaricati ogni mese andavano da loro per farsi ridare parte dello stipendio, tra i 600 e i 700 euro su una paga complessiva di 1.200 euro al mese. Gli operai pagavano perché mi dissero 'meglio avere 600 euro che vendere le rose in strada'. Le buste paga non avevano ferie e malattie pagate". Come racconta la giornalista Marina Verdenelli di AnconaToday, su 173 ore mensili di lavoro massimo che dovevano fare i lavoratori ne avrebbero fatte 260.

Ad approfittarsi dello stato di necessità sarebbero stati sia il datore di lavoro che i suoi due avamposti, bengalesi anche loro. Il titolare della ditta, che ha sede ad Ancona, è stato assolto in abbreviato mentre i suoi due bracci destri sono a processo per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

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