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Lunedì, 29 Aprile 2024
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Salmonella ed epatite A: il prezzo della crisi

Da cinque anni crescono solo le vendite dei cibi low cost: più di sei famiglie su dieci hanno tagliato quantità e qualità della spesa. Il risultato: è boom di allerte alimentari

ROMA - Quantità e non qualità. Con la crisi che non accenna a mollare la presa, gli italiani continuano a tagliare sulle spese: dall'abbigliamento alle automobili a farla da padrone è sempre il segno meno rispetto ai bei tempi che furono. Un settore, però, "tiene botta": quello alimentare. Tagliare è impossibile, almeno oltre un certo limite, ma si è verificato - fa notare Coldiretti - un sensibile spostamento verso i prodotti a basso costo per cercare comunque di risparmiare. 

Nel 2013 - analizza l'associazione dopo una analisi del rapporto "I rischi dei cibi low cost" - le vendite sono aumentate solo nei discount alimentari che hanno fatto segnare un incremento del'1,6% mentre sono risultate in calo tutte le altre forme distributive fisse al dettaglio. Il risultato - precisa Coldiretti - è l'aumento degli acquisti di "cibo low cost" con oltre sei famiglie italiane su dieci - il 62,3% - che hanno tagliato quantità e qualità degli alimenti privilegiando nell'acquisto prodotti offerti spesso a prezzi troppo bassi per essere sinceri, che rischiano di avere un impatto sulla salute".

Un impatto che effettivamente non è mancato. Sempre nei dodici mesi dell'anno scorso, infatti, sono aumentati del 14% - rispetto a cinque anni fa - gli allarmi alimentari in Italia con ben 534 notifiche sulla sicurezza di cibi e bevande potenzialmente dannosi per la salute. Solo una minoranza di allarmi - sottolinea Coldiretti - è dovuta a prodotti nazionali con circa 97 casi di irregolarità e una tipologia del rischio abbastanza eterogenea: venti di salmonella, undici di listeria ed epatite A in frutti di bosco preparati con materie prime importate. 

Dietro questi prodotti - chiarisce Coldiretti - spesso si nascondono ricette modificate, l'uso di ingredienti di minore qualità o metodi di produzione alternativi. I rischi del low cost riguardano infatti anche le imitazioni dei prodotti italiani più tipici come il parmigiano Reggiano e il Grana Padano che soffrono la concorrenza sleale dei similgrana le cui importazioni in Italia sono raddoppiate negli ultimi dieci anni.

Si tratta di formaggi di diversa origine e qualità che non devono rispettare i rigidi disciplinari di produzione approvati dal'Unione Europea ma che rischiano di essere scambiati dai consumatori come prodotti Made in Italy perché vengono spesso utilizzati nomi, immagini e forme che richiamano all'italianità.

Un problema analogo - continua l'associazione degli agricoltori - riguarda i prosciutti che in quattro casi su cinque tra quelli venduti in Italia provengono da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania, Spagna senza che questo venga chiaramente indicato in etichetta e con l'uso di indicazioni fuorvianti come "nostrano" che ingannano il consumatore sulla reale origine. 

Quindi, dulcis in fundo, almeno una mozzarella su quattro tra quelle in commercio - spiega sempre Coldiretti - non è stata realizzata a partire direttamente dal latte, ma da cagliate straniere, anche se non è obbligatorio indicarlo in etichetta. Ogni anno decine di milioni di chili di cagliate provenienti soprattutto da Lituania, Ungheria, Polonia e Germania diventano mozzarelle Made in Italy, dietro il nome di marchi con nomi italiani, ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta. Oltre ad ingannare i consumatori, si tratta di una concorrenza sleale nei confronti dei produttori che utilizzano esclusivamente latte fresco perché la mozzarella "tarocca" costa attorno alla metà e può essere venduta sullo scaffale a prezzi molto più bassi. E in tempi di crisi non è una differenza da poco. Purtroppo neanche per la salute. 

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