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Sabato, 27 Aprile 2024
Cosa succede dal 2024

Con un euro in più in busta paga se ne possono perdere 1.100

L'ufficio parlamentare di bilancio fa il punto sul rinnovo del taglio al cuneo fiscale: se il giudizio sulla misura è nel complesso positivo, non mancano alcune criticità. In primis il fatto che la sforbiciata cessa di avere effetti sopra i 35mila euro

Il mix tra decontribuzione e la riforma dell'Irpef porterà "maggiori benefici per redditi medio-bassi e operai" ma emergono delle "criticità da coperture e soglie di reddito". Ad affermarlo, nel corso di un'audizione nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato, è la presidente dell'ufficio parlamentare di bilancio (Upb) Lilia Cavallari che oggi ha fatto il punto sulla manovra al vaglio del Parlamento. Cavallari ha fatto notare che "la conferma della decontribuzione garantisce un importante supporto ai redditi da lavoro bassi e medi" ma "la modalità per fasce fa cessare ogni beneficio oltre la soglia di retribuzione lorda di 35.000 euro, con una perdita di circa 1.100 euro con il superamento di tale soglia per un solo euro".

Un aspetto questo che spesso è stato trascurato nel dibattito - anche mediatico - sulla legge di bilancio. In effetti il punto sollevato dall'Upb è difficilmente contestabile: se è vero che la decontribuzione porta indubbi benefici in busta paga (il governo ha parlato di circa 100 euro al mese), la sforbiciata cessa di avere effetti proprio sopra i 35mila euro di reddito. Un taglio netto che oltre a essere eccessivamente penalizzante per i lavoratori interessati, potrebbe portare anche ad altri problemi. Nell'eventualità di ulteriori proroghe della misura, ha infatti aggiunto la presidente dell'Upb "vi sarebbe un forte disincentivo al lavoro e si renderebbe più complesso il raggiungimento degli accordi di rinnovo contrattuale". Per questo sarebbe opportuno "risolvere questi meccanismi". 

Come funziona il taglio del cuneo fiscale

Nello specifico lo sgravio contributivo, tutto a beneficio dei lavoratori, è pari al 7 per cento per i redditi fino a 25 mila euro, e del 6 per cento per i redditi fino a 35 mila. Un aspetto importante da rimarcare è che il taglio contributivo è già in vigore e dunque è inutile attendersi sostanziosi aumenti in busta paga dal prossimo gennaio. Il governo ha confermato una misura che esiste già e che tuttavia non è ancora "strutturale", ovvero non ha natura definitiva ma temporanea.

L'effetto sugli stipendi - che indubbiamente c'è - è stato reso meno evidente dal fatto corso degli ultimi due anni le sforbiciate ai contributi sono state introdotte con interventi graduali. Un primo esonero contributivo dello 0,8 per cento era stato varato dal governo Draghi con la legge di bilancio del 2022 per i redditi fino a 35 mila euro annui e poi aumentato di un altro 1,2% con un decreto successivo. Il governo Meloni è quindi intervenuto con altri due decreti, portando infine la riduzione al 6 e 7% a seconda delle fasce di reddito.

Il rinnovo è temporaneo, per renderlo strutturale serviranno altre risorse

Il giudizio che l'ufficio parlamentare di bilancio dà della misura è in ogni caso positivo. "La conferma della decontribuzione - ha detto Cavallari - garantisce un importante supporto ai redditi da lavoro bassi e medi, in particolare il reddito degli operai incrementando la capacità redistributiva del complesso del prelievo contributivo e fiscale".  Oltre agli effetti nulli sopra i 35mila euro, l'Upb individua un'altra criticità nella natura non strutturale della misura che è stata "finanziata temporaneamente in deficit" (cioè facendo debito) con uno stanziamento di 10,7 miliardi. "Una eventuale ulteriore estensione - ha sottolineato Cavallari - richiederà l'individuazione di misure di copertura strutturali".

I vantaggi fiscali dal 2024 grazie alla riforma dell'Irpef 

Oltre al taglio del cuneo fiscale, il governo è intervenuto anche con una rimodulazione delle aliquote Irpef. I primi due scaglioni, quello fino a 15 mila e quello tra 15 e 28mila, saranno accorpati e a entrambi si applicherà l'aliquota prevista fino a oggi per il più basso, ovvero il 23%. Il beneficio entrerà in vigore dal 2024 e dovrebbe portare a un vantaggio fiscale annuo fino a 260 euro, che questa volta sarà visibile sulle buste paga (così come sui cedolini della pensione). L'ufficio parlamentare di bilancio ha snocciolato qualche stima. "Il beneficio - ha detto Cavallari - è di 75 euro annui per i redditi da lavoro dipendente tra 8.000 e 15.000; a partire dai 15.000 fino a 28.000 il vantaggio aumenta progressivamente con il reddito fino a un massimo di 260 euro; oltre i 50.000 euro il beneficio può azzerarsi per effetto del taglio delle detrazioni per oneri e spese non sanitarie". 

Cavallari ha quindi specificato che dalle analisi Upb, "l'intervento sull'Irpef risulta sostanzialmente neutrale dal punto di vista della redistribuzione. Includendo anche la decontribuzione, l'impatto diventa progressivo. L'effetto dei due interventi – ha concluso - è più consistente sugli operai, con un vantaggio medio della categoria del 3,4% dell'imponibile, seguiti dagli impiegati con un più contenuto 1,9%. Per i pensionati, l'incidenza del beneficio e il beneficio assoluto risultano inferiori a quelli di operai e impiegati. La decontribuzione premia sempre, in rapporto al reddito, in modo particolare i più giovani, soprattutto entro i 35 anni".

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