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Sabato, 27 Aprile 2024

La recensione

Giulio Zoppello

Giornalista

Perché vedere la serie sulla morte di John Lennon

John Lennon: Murder Without A Trial arriva su AppleTv+ con grandi attese e domande, per quello che è e rimane uno dei momenti spartiacque per eccellenza del XX secolo: l’assassinio di John Lennon, l’ex Beatle diventato figura prominente a livello politico e artistico in quegli anni, da parte di Mark David Chapman, sui cui motivi non si è mai fatta veramente luce. Questa serie documentario in tre parti però ci prova, lo fa con testimonianze e documenti inediti. 

John Lennon: Murder Without A Trial: la trama

Era l’8 dicembre 1980 quando John Lennon, di rientro al Dakota Building, presso New York, veniva freddato da un suo fan, Mark David Chapman, con cinque colpi di revolver. Quegli spari spengono la vita di un artista e un attivista che aveva avuto un peso unico, inimitabile, nella società e nel mondo a partire dai primi anni ’60. John Lennon: Murder Without A Trial, diretto da Nick Holt e Rob Coldstream, si muove con meticolosità e precisione non solo nel ricostruire quei fatali minuti, ma anche nello spiegarci cosa cambiò da quel giorno, perché quell’omicidio fu la fine di un’epoca. Soprattutto, punta i riflettori su Chapman, l’assassino, protagonista di un processo assurdo, in cui complottismo, le più variegate analisi e opinioni sulla sua infermità mentale, qui vengono mostrare facendosi forza di fonti audio e video inedite, di testimonianze assolutamente intriganti. Il risultato è ricco ma paradossalmente per ciò che è al di fuori dell’atto omicida in sé, nel farci comprendere ancora di più chi era John Lennon, il suo lascito, la differenza tra il concetto di influencer di allora e quello di oggi.

Alla fine, diventa anche e soprattutto un viaggio dentro la follia di Chapman, quel suo matrimonio strano, i segreti dietro lo squilibrio di un emarginato chiaramente intelligente, ma perseguitato da fantasmi e traumi incredibili. Eppure, alla fin fine, non si riesce a provare pietà per lui, per l’autore di un omicidio insensato, nato da fantasie malate, dall’interpretazione paranoica de “Il Giovane Holden”, ai sentimenti contrastanti e insalubri verso Lennon. Odio, amore, narcisismo, insicurezza patologiche, emulazione e infine volontà di riscattare un anonimato che per lui era sinonimo di nullità.

La moglie, scelta perché asiatica come Yoko Ono, gli amici che non sanno capacitarsi, il suo in un certo senso personificare la sconfitta e la mutazione della beat generation, della contestazione, arrivano potenti ma laterali, come conseguenza logica di analisi. John Lennon: Murder Without A Trial però ci parla anche di altro, di ciò che rimane del vecchio establishment federale e della sua volontà persecutoria che emerse dalle indagini successive all’omicidio, facendo rimanere scioccata un’opinione pubblica già di per sé addolorata e sconvolta.

Tra inquietanti domande senza risposta e nostalgia

John Lennon: Murder Without A Trial ci porta a conoscere da vicino il tassista testimone dell’uccisione, gli ultimi momenti e parole di Lennon grazie al portiere, poi conosciamo David Suggs, l'avvocato difensore di Chapman, nonché Naomi Goldstein, la psichiatra che per prima ha valutato Chapman. Ne sarebbero seguiti molti altri, ed è veramente difficile non pensare ad una serie come Dahmer di Netflix, nelle diverse rassomiglianze tra Chapman e il serial killer americano più famoso di sempre, nell’ascoltare le loro problematiche familiari, affettive, sessuali. Poi il processo, la condanna dopo un iter strano, che non soddisferà nessuno. Lennon parlava di pace universale, predicava un’umanità scevra dalle sovrastrutture che la dividevano e finisce nel mirino dell’FBI, come capitato a Seberg, Ray Charles, James Weldon Johnson, è “un problema da risolvere” e negli Stati Uniti tutti sanno cosa vuol dire. Ironia della sorte, un altro squilibrato di lì a poco cercherà di uccidere anche Ronald Reagan, anche lui impugnando in una mano un revolver e nell’altra “Il Giovane Holden”. 

John Lennon: Murder Without A Trial ci mostra i volti di quei ragazzi che cantano le canzoni di Lennon tra le lacrime, la fine del sogno di cambiare il mondo, strangolato non tanto dalla guerra, crisi economica o federali, ma dal tempo che passa, dalla società che cambia. John Lennon in un certo senso in quel mondo degli anni ’80, reaganiani, yuppies, plasticati e commerciali, non c’entrava nulla, non avrebbe trovato posto e funzione. Oggi, nel 2023, in cui l’impegno politico è merce di scambio, trucco con cui le varie star coprono la propria nullità, John Lennon, ucciso da un nessuno, capace di interpretare un cambiamento non di mera maniera, appare a confronto il titano che fu.

La morte di Lennon avrebbe cambiato anche la giurisprudenza americana, tolto validità all’infermità mentale, avallando un giustizialismo e un sentimento di vendetta ancora oggi radicati nell’opinione pubblica. Il paradosso è che è stato il contrario di ciò che Lennon aveva predicato, tutto in funzione di quel ragazzo disturbato, bigotto, instabile. A volte basta la mediocrità per cominciare e soprattutto finire qualcosa, basta un mitomane come tanti, sbucato dall’America più arretrata e solitaria. 

Voto: 7

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