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Martedì, 30 Aprile 2024
Film al Cinema

Il colibrì, Pierfrancesco Favino protagonista di una storia di vita e resilienza

Il film di Francesca Archibugi tratto dal romanzo di Sandro Veronesi, apre la Festa del Cinema di Roma e arriva in sala dal 14 ottobre

La lunga vita di un uomo tra affetti, perdite, amori, dolori e svolte del destino sono al centro de “Il colibrì”, film di apertura della diciassettesima Festa del Cinema di Roma diretto da Francesca Archibugi e interpretato da un nutrito cast guidato da Pierfrancesco Favino (Marco Carrera), Kasia Smutniak (Marina), Berenice Bejo (Luisa), Laura Morante (Letizia), Benedetta Porcaroli (Adele), Nanni Moretti (dottor Carradori).

Il colibrì, la trama

La vita di Marco Carena (Pierfrancesco Favino), soprannominato in famiglia “colibrì” per il fisico gracile come quello di un uccellino curato a inieizioni di ormoni durante l’adolescenza, è al centro del nuovo film di Francesca Archibugi tratto dall’omonimo best seller di Sandro Veronesi. Il pubblico segue Marco in tutte le fasi della sua vita, ripercorrendone gli avvenimenti cruciali e gli incontri fondamentali. La casa della famiglia al mare è il luogo del cuore del protagonista e la location in cu si svolgono molte delle vicende che si rivelano vere e proprie svolte per sua la vita. Dal primo grande dolore all’incontro con il grande amore, fino all’epilogo finale. Infanzia, adolescenza, età adulta e vecchiaia, i rapporti con la famiglia d’origine segnati da una ferita che non si rimarginerà mai, il matrimonio e la sua crisi, la paternità, un lutto insuperabile e una nuova motivazione per continuare ad andare avanti. Il tema centrale del film è la vita come un continuo fluire di gioie e dolori, difficoltà e coraggio, esplorato seguendo il percorso esistenziale di un qualsiasi uomo che si snoda tra le vacanze dell’adolescenza sulle spiagge del Tirreno, la vita adulta a Roma, il ritorno a Firenze imposto da una nuova, durissima prova e i viaggi a Parigi per alimentare la fiamma di un sentimento nato giovanissimo, mai consumato, ma che non si spengerà mai per tutta la vita.

Il colibrì: gli amori, i dolori e le svolte del destino di un uomo nel film di apertura della Festa del Cinema di Roma

Una vita come tante, di un uomo come tanti, ma a suo modo straordinaria, come lo sono tutte le vite, se vissute a pieno e in prima persona. “Il colibrì” di Francesca Archibugi apre la diciassettesima edizione della Festa del Cinema di Roma con una storia che si focalizza completamente sull’esperienza individuale del suo protagonista: l’unico punto di vista, l’unica prospettiva che vediamo nel film è quella di un uomo che affronta come può la sua esistenza, in un arco temporale che va dagli anni ’70 ai giorni nostri, attraversando gioie, dolori, amori e lutti di una vicenda umana pienamente vissuta e quindi anche inevitabilmente sofferta, grazie anche agli interventi a volte salvifici, molto più spesso crudeli, del destino, che non gli risparmia nulla.

Marco Carena, il protagonista del film interpretato da Pierfrancesco Favino, è un ragazzino gracile che diventa un giovane di buona famiglia che incontra un amore che non lascerà mai più, e poi un medico stimato, marito presto infelice di una donna sofferente (Kasia Smutniak) e padre destinato a vivere un altro enorme dolore, ma capace di rialzarsi grazie a un nuovo ‘amore’. Marco Carena ci fa indossare i suoi panni, a volte stretti da soffocare altre volte ampi perché gonfi di gioia, mentre la narrazione salta seguendo il filo dei ricordi, da un momento all’altro della sua vita, da un avvenimento all’altro, mischiando i piani temporali e sottolineando così efficacemente che il Marco bambino, il Marco giovane, il Marco adulto e il Marco anziano, sono uno legato indissolubilmente alle esperienze e alle scelte degli altri. E poi, sempre in agguato, c’è il destino con la sua imperscrutabilità. E nessuno come il protagonista, che ama il gioco, sa quanto il fato possa cambiare in ogni situazione le carte in tavola e trasformare una serata di gloria in una di bruciante sconfitta.

Sebbene la vita di Carena sia piena di momenti che rappresentano vere e proprie tempeste emotive, la regia sceglie uno stile di narrazione sobrio, non indugiando sugli sconvolgimenti dell’animo che pur si intuiscono, ma suggerendo un approccio che accoglie gli eventi esaltanti o quelli struggenti dell’esistenza con la stessa consapevolezza acquisita a caro prezzo dal protagonista proprio nel momento più terribile, grazie alle parole sagge del dottor Carradori, uno di quegli incontri quasi casuali che si trasformeranno in un rapporto di fondamentale importanza. E d’altronde nella vita del protagonista come nella vita di tutti sono fondamentali le relazioni con gli altri, sia che siano felici e risolti, sia, e forse tanto più, che siano complessi e difficili. Sebbene il centro della storia sia Carena, infatti, un ruolo fondamentale lo ha il coro di famigliari, amori, amici interpretati da un nutrito e importante cast che è di certo uno degli elementi attrattivi del film.

L’opera di Francesca Archibugi è un’ampia riflessione sulla vita, e sulla necessità di accettarla e accoglierla nella sua totalità.

Voto: 6,5

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