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Lunedì, 29 Aprile 2024

La recensione

Giulio Zoppello

Giornalista

"Raffa", finalmente una miniserie che onora Raffaella Carrà

Raffa è ciò che serviva per onorare Raffaella Carrà, per ricordare a tutto e a tutti chi è stata, cosa ha cambiato nel nostro paese e nella nostra società lei, Raffaella Carrà, al secolo Raffaella Maria Roberta Pelloni, la più grande showgirl della nostra storia. Ma ciò che questa miniserie documentario di Daniele Lucchetti su Disney+ fa capire perfettamente, è anche che la definizione di showgirl è riduttiva, limitante, per definire ciò che questa ragazza ha saputo essere nella sua incredibile carriera.

Raffa: la trama e gli ospiti. Da Renzo Arbore a Tiziano Ferro

Raffa originariamente era un film, lungo tre ore, il minimo per cercare di coprire la vita e la carriera della Raffaella Carrà, firmato da un regista di lungo corso come Daniele Lucchetti e nato a novembre dell'anno scorso. Ma ora su Disney+, ecco che arriva sotto la più fruibile forma di miniserie documentario, format che sulle piattaforme sta sempre più spopolando (vedasi quello dedicato su Apple Tv+ alla morte di John Lennon). Lavoro monumentale e gigantesco quello fatto da Lucchetti con Raffa, dal momento che oltre a più di 15000 filmati di archivio sulla carriera della Carrà, ecco che la miniserie di tre puntate ce la fa rivivere attraverso una marea di testimonianze di ospisti d'eccezione. L'elenco è corposo: Marco Bellocchio, Renzo Arbore, Loles León, Fiorello, Giovanni Benincasa, Loretta Goggi, Barbara Boncompagni, Emanuele Crialese, Tiziano Ferro, Luca Sabatelli e diversi altri.

Il risultato finale ottenuto da Raffa è quello giusto, quello più equilibrato, al netto del ricorrere ogni tanto a qualche inserto da fiction come da noi si usa sempre di più (onestamente se ne poteva fare a meno), mentre ci fa rivivere l'infanzia, povera come quasi chiunque nell'Italia del dopoguerra, di Raffaella a Bellaria-Igea Marina, dopo essere paradossalmente partiti dalla fine, da quella morte arrivata a ciel sereno nel luglio del 2021.

Ma Raffalla Carrà chi è stata veramente?

A questa domanda Lucchetti non può che rispondere mostrandoci come arte e vita per lei fossero tutt'uno, la realtà di fondo di una carriera basata su una sola parola: resilienza. Quello il segreto della Carrà, quella la formula magica che le ha permesso di trovare quella strada verso la realizzazione artistica che per molto tempo le parve preclusa da bocciature, mancanza di opportunità o l'essere troppo diversa dalla norma. 

La Carrà che fin da bambina comincia a fare qualche comparsata e particina, è la stessa che spera di diventare una grande ballerina, fino alla bocciatura da parte di una divinità come la Jia Ruskaja a 14 anni. Non si arrende, il suo futuro deve essere il cinema, ma pure lì non va bene, ha un viso da bambina su un corpo da donna, è in antitesi alle maggiorate e alle sanguigne dive che il nostro cinema esporta. L'incontro con Frank Sinatra sul set de Il Colonnello Von Ryan le apre le porte di un'occasione hollywoodiana, ma pure questa non è la strada giusta, torna in Italia. Nessuno crede in lei in quella fine di anni '70 tranne lei, che sul piccolo schermo trova la chiave per l'immortalità dentro e fuori i confini nazionali.

L'omaggio ad una straordinaria rivoluzionaria Raffa è e non può che essere una macchina del tempo, mentre seguendo la Carrà dagli inizi, passando per quel "Io, Agata e tu" che segna l'inizio del suo trionfo, giocoforza vediamo come l'Italia cambiava, come lei contribuiva a svecchiarla, modernizzarla, andare oltre cliché e soprattutto una rappresentazione obsoleta della donna. Perché, ed è questa la suprema verità su Raffaella Carrà, ha fatto più lei per l'emancipazione femminile di una marea di leggi, iniziative, discorsi o altro. Questo anche grazie alle sue canzoni, al suo spaziare da un ramo artistico all'altro con una capacità unica di piacere in modo universale. 60 milioni di dischi venduti, questa la cifra del suo toccare il cielo con un dito, anche al costo di far gridare allo scandalo quella parte di Italia che si esaltava per chi cantava l'amore da non cogliere, mentre lei diceva quanto era bello farlo da Trieste in giù.

Gli anni '70 sono il suo decennio, quello in cui, ombelico al vento, mostra che le donne sanno tenere banco da sole di fronte ad una telecamera, dove stavolta sono gli uomini ad essere la spalla e non più il piatto forte. "Canzonissima", "Fantastico", "Pronto Raffaella?" sono capitoli di un'avventura che fa di lei anche l'ambasciatrice della televisione globale in senso moderno, capace di azzerare distanze linguistiche e culturali, di uscire dal recinto americanocentrico.

Simbolo di emancipazione e inclusività LGBT, quando in Rai era sacrilegio

In tutta Europa e anche al di là dell'Oceano Raffaella Carrà è stata ambasciatrice italiana con un'importanza e una capacità di incidere su cui proprio Raffa getta una luce doverosa perché sovente ignorata. Il tutto mentre diventa una self-made woman, un simbolo di emancipazione ed indipendenza fortissimo. Fatto ancora più importante, e che Raffa ci ricorda, Raffaella Carrà osò essere inclusiva con la comunità LGBTQ+ in tempi in cui soprattutto nel servizio pubblico (ma pure su Mediaset) era considerato sacrilego, se non sbagliato farlo. Ben strutturato, con diversi innesti e testimonianza di grande impatto, Raffa è una miniserie che sa quando fermarsi un passo prima di perdere equilibrio, pur rimanendo perfettamente conscio dell'importanza di recuperare la centralità di questa donna, artista a 360°, il cui esempio nella realtà oggi nessuna sua collega sa e vuole cogliere. Troppo difficile, troppo impegnativo, meglio seguire l'onda piuttosto che fare ciò che fece lei, che le creava e le anticipava. 

Voto: 8

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