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Domenica, 28 Aprile 2024

La lettura

Gianluca Anoè

Giornalista

Edith Bruck, una testimonianza sulla Shoah lunga 60 anni

Instancabilmente, da più di 60 anni, continua a girare l'Italia senza sosta per testimoniare ai più giovani l'orrore dell'Olocausto e, nel suo piccolo, cercare di cambiare le persone e il loro modo di pensare. Una vera e propria missione, perché solo così "ha senso la mia sopravvivenza". È Edith Bruck, Steinschreiber all'anagrafe: poetessa, scrittrice, memoria di un intero popolo.

Nata nel 1931, ultima di sei figli di un famiglia povera ungherese, nella primavera del 1944 viene prelevata dal ghetto di Sátoraljaújhely e deportata ad Auschwitz. Da lì in poi sarà trasferita, nell'ordine, a Kaufering, Landsberg, Dachau, Christianstadt e infine Bergen-Belsen, dove verrà liberata insieme ad una sorella nell'aprile del 1945. Dai campi di concentramento non faranno ritorno il padre, la madre, un fratello e altri familiari.

All'età di 92 anni, è ancora una delle poche a fare testimonianza, ma guai a farglielo presente. "Siamo rimasti in pochi, due o tre, e poi ci sono quelli che non lo fanno più - ha detto lo scorso 8 maggio all'Università di Firenze, in occasione di un incontro dedicato alla sua figura - Ma quando i giornali scrivono che sono l’ultima dei testimoni, mi secca molto". Un'attività ininterrotta per lunghi decenni, svolta principalmente in Italia, Paese che l'ha accolta. Anche dopo la liberazione da parte degli anglo-americani, infatti, ha dovuto fronteggiare un clima di avversione e odio.

Quando i giornali scrivono che sono l’ultima dei testimoni, mi secca molto

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale cerca di rientrare in patria, ma il termine delle ostilità non coincide davvero con pace e accoglienza. Così comincia a girovagare, in cerca di un luogo in cui vivere in maniera stabile e definitiva. Nel 1946 è in Cecoslovacchia per raggiungere una delle sorelle maggiori, salvata da Giorgio Perlasca, ma non ci sarà alcun ricongiungimento. Nel 1948 è quindi in Israele, dove si sposa e prende il cognome del marito, Bruck per l'appunto, ma nel 1954 emigra a Roma, perché non riesce a sentirsi parte di una realtà fatta di tensione e conflitti.

Narrativa, poesia e testimonianza

Nella capitale entra in contatto con un ambiente molto vivace, e instaura rapporti con alcuni degli esponenti più importanti della cultura italiana: Elio Vittorini, Vittorio Sereni, Eugenio Montale, Elsa Morante, Alberto Moravia, Mario Luzi, Giuseppe Ungaretti e Primo Levi. Qui comincia la sua carriera di scrittrice, poetessa e traduttrice, mantenendo sempre fede al suo impegno. In questo senso, nel 1959 scrive il libro Chi ti ama così, una relazione della sua vicenda di deportata, basata su alcuni appunti personali, poi andati perduti, scritti anni primi nella sua lingua madre, l'ungherese.

Tre anni dopo scrive la raccolta di racconti Andremo in città, che sarà adattata nel 1966, su suo soggetto, nell'omonimo film di Nelo Risi. È la storia di Lenka, ragazza ebrea che accudisce il padre, ufficialmente dato per morto nei campi di concentramento, nascondendolo in soffitta. Negli anni a venire, parte della sua ricca produzione letteraria si intreccia con le vicende del popolo ebreo e le deportazioni, comprese le sue ultime opere di narrativa: Il sogno rapito (2014), La rondine sul termosifone (2017) e Il pane perduto (2021). Lo stesso filo si riannoda nelle sue raccolte di poesie come Il tatuaggio (1975), In difesa del padre (1980), Versi vissuti (2018).

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Una lunghissima bibliografia, scritta interamente in italiano, perché "è una lingua che permette di alimentare la memoria", mentre la sua lingua nativa "è troppo dura e fa male al cuore". A parole, con i suoi scritti, con il suo incontrare i più giovani, Edith Bruck continua a testimoniare perché, ha spiegato recentemente "per me è veramente un dovere. Tutti mi dicono che devo imparare a dire di no, ma non ci riesco, quindi sono qua e sono dappertutto in Italia".

Diffondere la conoscenza ed educare su ciò che è stato e non deve ripetersi, per la poetessa è sempre attuale, "perché siamo sempre coinvolti nelle guerre, nel fascismo, nel razzismo, credo che i ragazzi abbiano bisogno di sapere, quindi proseguo anche se con molta fatica". E allora continua nel tuo girovagare sempre attuale ed essenziale, Edith. Continua a lasciare il segno, perché c'è sempre un estremo bisogno di riflettere sul passato e imparare. Nella speranza che tra qualche anno, quando per ragioni anagrafiche non ci sarà più nessuno in vita ad aver vissuto gli orrori della Shoah, qualcuno possa raccogliere il testimone per educare le generazioni a venire.

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