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Lunedì, 29 Aprile 2024
Intercepted / Ucraina

"Li uccidiamo perché esistono": le intercettazioni svelano le torture in Ucraina e le bugie di Mosca ai russi

Proiettata al festival internazionale di Berlino l'ultimo lavoro della regista ucraina Oksana Karpovych, che raccoglie gli audio delle conversazioni telefoniche tra i soldati di Mosca e i loro cari rimasti in patria

La guerra in Ucraina vista attraverso gli occhi dei soldati russi. E ascoltata attraverso gli audio che questi inviano dal fronte ai loro parenti e amici in patria, intercettati dai servizi di Kiev. Così Intercepted ha documentato le atrocità che si sono consumate nell'ex-repubblica sovietica ad opera delle forze armate di Mosca nel corso del 2022, il primo anno dell'invasione ordinata da Vladimir Putin. Il film della regista ucraino-canadese Oksana Karpovych, girato tra Ucraina, Canada e Francia e prodotto da Les Films Cosmos, Hutong Productions e Moon Man, ha debuttato in anteprima mondiale alla 74esima edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, riscuotendo immediatamente un forte successo di pubblico e ottenendo anche una ricezione positiva dalla critica. 

Nella sua nuova pellicola Karpovych, che ha già alle spalle altri lavori di documentari giornalistici, tenta di rispondere ad alcune delle domande che da due anni attanagliano i suoi connazionali: cosa spinge i militari russi a combattere questa guerra? Da dove arriva la crudeltà da loro dimostrata in svariate occasioni? E come giustificano le proprie azioni a se stessi e ai loro cari? La macchina da presa registra immagini di villaggi, città, edifici e strade ucraine dopo la liberazione dall'occupazione russa, iniziata nel 2022 e attualmente in fase di stallo. L'occhio dello spettatore viene così fissato non tanto nell'abisso della distruzione e della morte, ma piuttosto su paesaggi perlopiù disabitati o che iniziano a riempirsi della vita cui erano abituati prima dell'aggressione. 

Ma questi fotogrammi creano un contrasto disturbante con la colonna sonora del film: le registrazioni delle conversazioni telefoniche intercettate dai servizi segreti ucraini tra i soldati russi in trincea e i loro cari. Nei primi mesi di guerra, gli agenti di Kiev sono riusciti a violare le telefonate che i nemici effettuavano a casa, evidentemente non criptate in maniera sufficientemente sicura, e hanno diffuso online i contenuti di decine di scambi estremamente crudi nella loro sincerità. 

Karpovych e la sua troupe hanno preso visione (o meglio, ascolto) di 31 ore di registrazioni audio, selezionando alcune tra le testimonianze più incisive e meno frammentarie dei vari crimini di guerra perpetuati in Ucraina. E hanno compiuto un lavoro certosino per de-sincronizzare le immagini dai suoni che le descrivono: non c'è sovrapposizione, ad esempio, tra le riprese delle case saccheggiate e le tracce audio in cui i soldati russi chiacchierano su cosa riportare in patria dopo il servizio. L'effetto straniante che ne scaturisce è così allo stesso tempo anche conciliante, in qualche modo, in quanto il documentario non prende la forma del "trauma porn", dove vengono esaltate in maniera morbosa le scene di violenza per scioccare il pubblico ma punta tutto sulla focalizzazione interna alla vicenda, cioè appunto quella dei soldati della Federazione Russa.

Durante la proiezione si sentono dunque confessioni di stupri, di saccheggi e di torture su civili e prigionieri di guerra ucraini. E si sentono in risposta, forse ancora più disarmanti, voci per lo più femminili (soprattutto di madri, ma anche mogli e fidanzate) che testimoniano un odio cieco di matrice etno-nazionalista, in molti casi frutto di decenni di campagne di disinformazione e propaganda orchestrate dal Cremlino.

C'è chi racconta alla madre di essersi divertito a imparare nuove torture, e che ottiene come risposta qualcosa come "figliolo, è normale, anch'io se finissi lì proverei piacere (a torturare, ndr)". Oppure chi ammette di non sentirsi in colpa per aver ucciso una donna con due bambini, incoraggiato da casa con frasi come "non provare pietà per loro, uccidili". Poi ci sono i saccheggi, con i soldati russi che promettono ai propri familiari vestiti e scarpe rinvenuti nelle abitazioni abbandonate dai civili ucraini in fuga, con gli stessi familiari che chiedono dei computer per i figli piccoli che andranno a scuola.

Gli effetti della propaganda russa emergono nitidi quando una madre chiede se ci sono basi Nato in Ucraina, e alla risposta negativa del figlio intercettato ribatte "non mentirmi, ci sono le loro basi ad ogni angolo, così ci dicono alla tv": e quando il militare le suggerisce di non guardare la tv perché "ci raccontano bugie" viene redarguito, poiché "per forza è la verità, è per questo che vi hanno mandati lì, per proteggerci dalla Nato".

E poche testimonianze possono rendere la disumanizzazione del nemico come il rimprovero di un'altra madre al figlio che aveva messo in dubbio l'invasione alla quale aveva preso parte: "Non osare dire cose del genere", recita l'audio. "Non sono affatto persone. Continua a combattere".

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