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Martedì, 30 Aprile 2024
Il caso / Cina

I Paesi dove si rischia grosso (anche la vita) fumando cannabis

In diverse nazioni del mondo consumare sostanze stupefacenti può costare caro, anzi carissimo. La violazione del divieto può comportare anni di carcere, multe salate o la pena di morte

Dagli Emirati Arabi Uniti alla Cina, passando per l’Indonesia, la piccola Singapore e l’Iran, numerosi sono i Paesi del mondo in cui il consumo di cannabis è severamente vietato, nonché duramente punito, anche con la pena capitale. A ricordarlo è l’Harm Reduction Journal, una rivista che monitora l’uso della pena di morte in tutto il mondo per reati connessi agli stupefacenti, secondo cui sarebbero ancora oggi migliaia le persone detenute nel braccio della morte in attesa della loro esecuzione per crimini connessi agli stupefacenti.

Nonostante la "rivoluzione verde" degli ultimi anni abbia toccato tutte le latitudini, portando ad una piena o parziale legalizzazione della cannabis in Uruguay, Usa e Canada - oltre alla proposta di leggi che vanno in questa direzione in diverse altre nazioni – restano decine gli Stati in cui l’uso è non solo proibito, ma severamente punito. Ad oggi i reati associati agli stupefacenti sono punibili con la morte in almeno 35 nazioni. In Cina chiunque venga trovato con più di 50 grammi addosso di una qualsiasi sostanza stupefacente può essere condannato alla pena capitale. In questo Paese i dati sulle esecuzioni sono secretati, ma si sospetta possano essere state centinaia, se non migliaia negli ultimi dieci anni. Come riportato da Dolce Vita, la recente legalizzazione della marijuana in gran parte del continente americano è stata classificata da Pechino come una "nuova minaccia per la Cina".

Non è da meno l’Iran, dove tra il 2008 ed il 2018 sono state giustiziate più di 3mila persone accusate di consumo o spaccio di stupefacenti. Nel 2017 c’è stato un leggero ammorbidimento delle leggi, con il rialzo dei quantitativi minimi necessari affinché i reati siano punibili con la morte – la soglia è stata portata da 5 a 50 grammi per sostanze naturali quali l’oppio, l’erba ed il succo di canapa. Una scelta dettata dal fatto che, almeno secondo il procuratore Mohammad Olfat, "l’esecuzione dei trafficanti di droga non aveva avuto alcun effetto deterrente né sul consumo né sullo spaccio".

Sullo stesso piano dei Paesi precedenti si posizionano nazioni quali l’Arabia Saudita, dove prima della pena capitale (che può avvenire per impiccagione, fucilazione o addirittura decapitazione) troviamo punizioni come le fustigazioni pubbliche o la deportazione, nonché Singapore, dove la pena capitale può arrivare per l’accusa di spaccio con il possesso di 500 grammi. Nella piccola città-Stato, inoltre, il semplice uso di cannabis può esser punito con 10 anni di carcere oppure con una multa non inferiore ai 20mila dollari.

In Vietnam la pena di morte per il possesso di sostanze stupefacenti è stata abolita qualche anno fa, tuttavia, resta tuttora in vigore per i produttori e trafficanti di droga. In altre nazioni, pur non essendo prevista la morte per i reati connessi agli stupefacenti, la tolleranza è comunque molto bassa. Negli Emirati Arabi Uniti, molto in voga negli ultimi anni, anche il solo avere tracce nel proprio organismo di un consumo precedente può costare fino a quattro anni di carcere, o una multa salatissima superiore ai 2mila dollari. Nel 2008 aveva fatto il giro del mondo la storia di Keith Brown, un cittadino britannico condannato al massimo della pena carceraria dopo che i funzionari della dogana avevano trovato 0,003 grammi di cannabis attaccati alla sua scarpa.

Lunghe pene detentive sono previste anche in Malesia e nella gettonatissima Indonesia, dove la cannabis è assimilata all’eroina e si rischiano quattro anni di prigione, nonché un’estesa riabilitazione obbligatoria. A queste latitudini non sono rari i casi in cui gli stranieri, una volta colti nel fatto, provino a corrompere le autorità affinché chiudano un occhio, spesso riuscendoci.

La Thailandia ha vissuto una progressiva depenalizzazione dei crimini per spaccio a partire dal 2005, dopo una "guerra" alla droga durata almeno due anni che ha mietuto migliaia di vittime, costringendo il comitato per i Diritti Umani dell’Onu ad intervenire. Nel 2018 è arrivata la legalizzazione della cannabis a scopo medico, tuttavia, in tutti gli altri casi la pena per il possesso o il consumo corrisponde ad un anno di prigione per piccole quantità, anni che possono diventare cinque con quantitativi più consistenti (10 chilogrammi di erba). In alternativa al carcere, la multa è tra le più salate al mondo, potendo arrivare fino a 320mila dollari. Una politica severa in materia continua a mantenerla anche il Giappone, dove il Cannabis Control Act – in vigore sin dal 1948 – prevede pene detentive fino a sette anni per gli spacciatori e multe superiori ai 27mila dollari.       

Un caso particolare è quello degli Usa, dove 11 Stati hanno pienamente legalizzato la cannabis, altri 37 ne permettono l’uso per una finalità medica, ma a livello federale il possesso ed il consumo resta illegale. Per coloro che visitano il Paese, la sola ammissione di aver fatto uso di una sostanza stupefacente nel corso della vita può comportare un allontanamento definitivo dai confini della nazione. Nel 2019 diversi media avevano riportato la notizia di una donna cilena bandita dagli Stati Uniti a vita dopo che alla dogana erano state trovate delle foto nel suo cellulare che dimostravano che era entrata in un negozio di cannabis a Denver.

Secondo il rapporto di Harm Reduction International per il 2022, sono almeno 3.700 le persone detenute nel braccio della morte per crimini legati agli stupefacenti in 19 Paesi del mondo. Il 44% delle esecuzioni avvenute nel corso dello scorso anno sono state in Iran (almeno 252 morti), mentre il 100% delle pene capitali eseguite a Singapore – 11 nel 2022 – sono avvenute per reati connessi al possesso di droga.

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