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Lunedì, 29 Aprile 2024

Charlotte Matteini

Opinionista

Cosa ci lascia la figura ridicola di Open to Meraviglia

Open to Meraviglia continua a far parlare di sé. Purtroppo. Non sono bastate le svariate giornate di polemiche che hanno accompagnato la presentazione della campagna di comunicazione commissionata dal Ministero del Turismo, bersagliata dalle polemiche a causa di una serie di strafalcioni di traduzione e di errori di sciatteria, no. A rinfocolare ulteriormente la polemica è stata direttamente l’agenzia Armando Testa, che ha deciso di comprare due paginate su Corriere della Sera e Repubblica per pubblicare una lettera di ringraziamento, dal sapore passivo aggressivo, che potremmo tranquillamente riassumere così: “Ne state parlando tutti, quindi la campagna funziona”. Appena l’ho letto io giuro che ho pensato fosse uno scherzo. E l’ho pensato proprio perché Armando Testa è un’agenzia storica e uno scivolone del genere nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Nel testo si legge: “Quando una campagna di promozione turistica rompe il muro dell’indifferenza e riesce a dar vita in soli 5 giorni da ‘Italia. Open to Meraviglia’ a un dibattito culturale così accesso, rappresenta sempre qualcosa di positivo”.  

Dimenticanze ed errori

Positivo sarebbe il fatto che da giorni la stampa straniera parla della campagna Open to Meraviglia per via dell’effetto grottesco prodotto da dimenticanze, errori e scelte difficili da commentare come, ad esempio, la decisione di utilizzare un video-promo per l’Italia girato in Slovenia, le terrificanti traduzioni che nessuno si è preso la briga di controllare, oppure, ancora, la realizzazione delle immagini di rappresentanza ritoccando fotografie disponibili gratuitamente in stock online – manco la fatica di scattare qualcosa –? Ora, la catena di comando e di esecuzione che sta dietro a progetti di questa portata è generalmente molto complessa. Si parte dal brief del cliente – e non è raro che a volte vengano avanzate richieste assurde – e si lavora a livello strategico, creativo e operativo. È certamente vero che tutti questi essere errori potrebbero essere frutto di negligenze da parte di altri attori in gioco, quindi non tutti imputabili alla Armando Testa, ma quello che è evidente, anche alla stampa internazionale che ha ripreso immediatamente la notizia e non certo per esaltarla, è il risultato complessivamente grottesco di una campagna pubblica finanziata con 9 milioni di euro per il solo acquisto di spazi pubblicitari.  

Tutte le scuse

Chiunque abbia lavorato in un’agenzia di comunicazione sa bene che prima del rilascio pubblico di una campagna si attende l’approvazione del cliente finale e fino a quel momento la campagna gira per gli ultimi aggiustamenti solamente attraverso canali interni di agenzia e committente. La Armando Testa sostiene che il video girato in Slovenia non sarebbe quello ufficiale della campagna, ma solo una presentazione. Il video, però, è presente sul profilo Instagram @venereitalia23, profilo ufficiale collegato alla campagna. Da quando si rende pubblico un prodotto non ufficiale rilanciandolo attraverso i canali ufficiali del committente?  

Per non parlare delle traduzioni dal tedesco di alcune località italiane presenti sul sito Italia.it per giorni: Fermo tradotto in Stillstand, Camerino come Garderobe, Scalea diventata Treppe e Brindisi diventato Toast. Anche questo elemento è stato pensato per far parlare della campagna, nonostante tutto? O forse tra committenti, fornitori e realizzatori non c’è stata nemmeno una persona che abbia controllato i testi prima del rilascio ufficiale di un sito della Pubblica Amministrazione raggiungibile da chiunque sia dotato di una banalissima connessione internet?  

Forse la Armando Testa vive negli Anni Ottanta

Tutti ne parlano, quindi funziona. Questo emerge dalla replica di Armando Testa, che probabilmente dev’essere rimasta legata a un’idea di comunicazione un po’ troppo ancorata ai ruggenti anni ’80. Una campagna di comunicazione o pubblicitaria che dir si voglia funziona se raggiunge un obiettivo e a meno che l’obiettivo non fosse farci sbertucciare per tutto il globo terraqueo a causa di errori e strafalcioni, forse il risultato non è stato esattamente conseguito. "L'importante è che se ne parli" non è un comandamento della comunicazione, ma forse una delle leggende metropolitane più dure a morire. Questo perché esiste una cosa, chiamata reputazione, che rischia di essere rasa al suolo a causa di una campagna congegnata male. 

Quel che appare sconcertante è il fatto che l’agenzia si sia immolata per difendere in toto una resa qualitativamente scarsa e, anziché scusarsi per gli errori – evitando di citare quelli più grossolani - ha preferito ricamare una toppa ben peggiore del buco, che ci mancava poco finisse con una chiusa tipo “la vostra invidia è la nostra forza”. Fossi in loro ingaggerei un’agenzia di brand reputation per porre rimedio al danno di immagine provocato dalla miglior tafazzata comunicativa che io ricordi. 

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