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Lunedì, 29 Aprile 2024

Instagram vs Reality: come l’overtourism trasforma l’Italia in uno sfondo per selfie

“Frequento le montagne dal pre-Instagram e confermo che i giovani sui sentieri si sono triplicati, le guide escursionistiche anche, compresi gli aspiranti influencer dell'outdoor. Però si limitano alle destinazioni instagrammabili”.

“A Rasiglia, Instagram e una o due foto ad hoc hanno portato valanghe di turisti in una piccolissima frazione che, davvero, conta tre o quattro vie e che non era conosciuta anche dagli stessi abitanti umbri di zone poco distanti”.

“L’overtourism estero ha reso le Cinque Terre improponibili per chi abita in provincia di La Spezia”.

“La Cappella di San Severo a Napoli era deserta, oggi, per merito o colpa di Instagram, è molto difficile visitarla”.

Lo scorso fine settimana ho provato, su Instagram, a fare una domanda alle persone che mi seguono: in che modo i social media hanno cambiato un luogo che ami? Le risposte aprono uno spazio di riflessione piuttosto ampio, che parte dall’overtourism e da come i social media hanno cambiato la relazione che abbiamo con gli spazi che abitiamo fino ad arrivare al modo in cui il digitale ha modificato alla radice la percezione stessa che abbiamo del tempo libero a nostra disposizione.

Partiamo dall’inizio.

Un’estate italiana (di overtourism)

Questa estate italiana non è stata solo quella degli scontrini alle stelle, dell’evidenza sempre più netta dei cambiamenti climatici e del fantomatico duello tra Elon Musk e Mark Zuckerberg. È stata anche, e forse soprattutto, l’estate in cui ci siamo resi conto di avere a che fare con l’overtourism. Ovvero, per farla semplice, quel momento in cui il turismo influenza negativamente un luogo, in particolare la qualità della vita percepita dei cittadini e la qualità delle esperienze dei visitatori.

Tramezzini divisi in due, lidi affollati e sempre più costosi, località turistiche a misura di viaggiatori stranieri: la geografia del nostro Paese è cambiata, tanto da spingere sempre più italiani a cercare le vacanze altrove. È come se in molti, a un certo punto, avessimo smesso di riconoscere fino in fondo la Puglia, la Costiera Amalfitana, le Cinque Terre, il Lago di Como, le città d’arte come Roma o Venezia. Qualcosa era cambiato.

Secondo un’analisi della Banca Mondiale riportata dal Financial Times, dal 1990 al 2019 il numero di chi viaggia per svago in tutto il mondo è raddoppiato, fino a toccare quota 2.4 miliardi all’anno. È un processo piuttosto lineare. I redditi medi in Occidente sono aumentati un po’ ovunque, la tecnologia ha accorciato le distanze e i voli low cost hanno abbassato le barriere all’ingresso. Viaggiare è diventato, nel corso degli ultimi 15-20 anni, un’attività definitoria, attraverso la quale disegniamo la nostra identità, in relazione a noi stessi e agli altri.

In viaggio cerchiamo ciò che abbiamo visto sui social 

Il punto è che negli ultimi due decenni non sono solo aumentati in termini assoluti i viaggiatori. Sono anche cambiate le modalità in cui prendiamo le nostre decisioni di viaggio, le traiettorie attraverso cui si orientano i nostri desideri. Da sempre, Internet è uno strumento potentissimo a disposizione di chiunque voglia organizzare uno spostamento di qualunque tipo. È assurdo anche solo immaginare che, fino a un po’ di tempo fa, per fare un biglietto aereo ci si dovesse muovere fisicamente da casa o chiamare un centralino.

Il web, però, non ha reso solo più semplici le prenotazioni. Ha anche creato un sistema informativo in cui è molto facile trovare informazioni di viaggio, suggerimenti di itinerari, località da visitare. I social network hanno reso, poi, il turismo una valuta sociale, una modalità attraverso cui disegnare la nostra presenza online. Secondo uno degli studi scientifici più citati sul tema, le piattaforme sociali possono creare una sorta di Fomo (Fear of Missing Out), la paura di perdersi qualcosa. In sostanza, tutti possono pubblicare immagini da ogni parte del mondo, noi le vediamo e siamo spinti a cercare un po’ di quella bellezza. E non solo: andiamo anche alla ricerca proprio di quelle cose che abbiamo visto sui social network.

Uno dei primi articoli che ho letto sul fenomeno overtourism è un pezzo della giornalista di Vox Rebecca Jennings. È un articolo molto personale, quasi una pagina di diario, in cui Jennings racconta un viaggio non proprio soddisfacente a Positano, quella che definisce la “capitale Instagram del mondo”.

“Il problema, oggi, è che sono troppe le persone che vogliono provare esattamente la stessa esperienza, perché sono andate tutte sugli stessi siti web e hanno letto tutte le stesse recensioni. C’è l’idea che se non vai in quello specifico ristorante o non visiti proprio quel quartiere, tutti i soldi e il tempo che hai speso sono stati sprecati. Come se ti fossi accontentato di qualcosa che non è così perfetto come avrebbe potuto essere”. Jennings la chiama la nostra “ossessione culturale per avere il meglio di qualunque cosa”.

Cerchiamo una valutazione sociale anche in vacanza. È la fine del tempo libero?

È un discorso che ha a che fare con il turismo ma, più in generale, con la relazione che abbiamo con il tempo libero. Forse perché ci sembra di averne meno, ma abbiamo bisogno, sempre di più, di organizzare al meglio quegli spazi di svago che abbiamo a disposizione. Di pianificarli, di programmarli, di cercare le recensioni.

È un processo iniziato ormai qualche anno fa. In un bel libro che sembra c'entrare poco e che si chiama Storia del camminare, Rebecca Solnit descrive bene un momento in cui tecnologie costruite per l'efficienza e per, in teoria, liberare il nostro tempo, ci hanno portato a pensare che ogni cosa debba essere quantificata. “Quello che non può essere misurato non esiste”, scrive Solnit.

In un articolo pubblicato all’inizio di agosto, Business Insider parla di “morte degli hobby”. Ovvero di un contesto in cui il digitale ci offre la possibilità di monetizzare ogni cosa che facciamo. Tutto quello che facciamo ha un potenziale valore, di costruzione dell’identità sociale o addirittura economico. “Il tempo diventa una risorsa economica”, scrive Jenny Odell in un libro che si chiama Come non fare niente.

Se ogni attività, anche quelle di svago, ha un valore, tutto deve essere pianificato. Il punto è che la necessità di programmare ogni cosa ha due conseguenze fondamentali. La prima è che, quando tutti si informano più o meno sugli stessi canali, tutti tenderanno a voler fare la stessa cosa, un po’ come scriveva Rebecca Jennings. La seconda è un senso di frustrazione se tutto non va come previsto. E quindi se piove, se c’è troppa fila, se i gradini da salire sono scomodi o se il tramonto non è proprio quello che volevamo vedere. Perché il tempo che spendiamo per noi, se sottoposto a una continua valutazione personale e sociale, smette di essere tempo libero. Cessa, in altre parole, di essere un'opportunità di crescita, di relazione con lo spazio che ci circonda e con il tempo che abitiamo.

"La trasformazione di Venezia? Il mio posto del cuore ora l’ho perso, perché si è trasformato, da una osteria di paese, bella e umana, in una mensa con sempre coda di turisti fuori"

"Sono salentino e la mia terra diventa irriconoscibile nel periodo estivo. Tengo per me quelle masserie/trattorie non ancora social"

Instagram vs Reality. Alcune testimonianze dall'Italia 

“La trasformazione estetica a Venezia è cominciata da Canaletto – mi racconta un altro degli utenti che ha risposto al mio sondaggio -, però ora la velocità di questa trasformazione è violentissima. Io racconto la città sui social e, per farti un esempio, a forza di raccontare il mio posto del cuore ora l’ho perso, perché si è trasformato, da una osteria di paese, bella e umana, in una mensa con sempre coda di turisti fuori”.

Il punto è che questa modalità di relazione con lo spazio e il tempo cambia i luoghi, li svuota di significato. Quest’estate, il giornalista inglese Tobias Jones raccontava così sul Guardian il modo in cui l’overtourism tende a trasformare tutto in sfondo per selfie. “Il problema con il turismo di massa è che rende le destinazioni l’opposto di quelle che erano una volta. L'attrazione delle Cinque Terre è la loro straordinaria semplicità: non hanno grandi monumenti in quanto tali, né grandi cattedrali né castelli, solo un senso di serenità, di ingegno umano e grandiosità paesaggistica. Ma la serenità e la semplicità dei luoghi non possono resistere a milioni di visitatori mordi e fuggi”.

“Sono salentino – spiega un altro - e, nonostante ami la mia terra, la trovo irriconoscibile durante il periodo estivo, quando è letteralmente invasa dai turisti. Ho capito ormai da tempo che posti prima sconosciuti si sdoganano facilmente, un semplice geotag è molto più veloce di un passaparola. Quelle poche spiagge ancora poco frequentate e masserie/trattorie non ancora social le tengo per me, sperando che i turisti (e quindi il caos, la sporcizia, i parcheggi e i parcheggiatori abusivi, improvvisi bar e costruzioni improbabili, le file, la musica a tutto volume) ne restino lontani più a lungo possibile”.

Su TikTok, l’hashtag #InstagramVsReality, utilizzato per mostrare le differenze tra i panorami da social media e quelli reali, ha oltre 2.6 miliardi di visualizzazioni. Ci si trova di tutto: la Fontana di Trevi affollata, Positano senza un centimetro per camminare, le file per prendere i vaporetti a Venezia. È l’espressione di quella frustrazione di cui parlavamo prima, quell’idea per cui la cosa che avevo pianificato non è andata esattamente come immaginavo.

È anche un momento di disvelamento di un concetto che ormai dovremmo conoscere: i social media non sono strumenti di informazione neutra, come non lo sono i giornali, contro cui però nutriamo uno scetticismo di massima ben maggiore. Perché funzioni, il contenuto deve rispettare alcune regole, per compiacere gli algoritmi che selezionano i post e per invogliare le persone a continuare la visione. Il risultato sono immagini perfette, panorami mozzafiato: dallo schermo, scompare ogni attrito.

La realtà si piega alle regole algoritmiche ed è proprio di quella realtà che andiamo alla ricerca.

@rosa_ket Insta vs reality sur la fontaine de Trevi  #rome #trevi #trevifountain #coleseoroma #vaticano #instavsreality #instagramvsreality ♬ original sound - TrainPal

C’è una soluzione?

Le soluzioni immaginate finora dalle amministrazioni, italiane e internazionali, si concentrano – giustamente - sulla necessità di preservare i luoghi dal sovraffollamento. Va in quella direzione Venezia, che inaugurerà nel 2024 un biglietto di ingresso da 5 euro per visitare la città. Oppure, un’altra possibilità è il numero chiuso, già realtà nella provincia autonoma di Bolzano.

La risposta a questo fenomeno, tuttavia, è più che altro culturale. E ha a che fare sì con il turismo ma, probabilmente, con un ventaglio piuttosto ampio di aspetti relativi alla gestione del nostro tempo e degli spazi che viviamo.

E parte da una riflessione centrale: non tutto può e deve essere un contenuto; non tutti i momenti del nostro tempo hanno bisogno di una convalida sociale, di un qualche genere di misurazione. Accettarlo significa riabituarsi, come scrive Sheila Liming in un libro che si chiama Hanging Out, a “fermare il tempo, per dedicarsi solo all’interazione con altre persone o con gli spazi che ci circondano”.

Instagram vs Reality: come l’overtourism trasforma l’Italia in uno sfondo per selfie

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