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Sabato, 27 Aprile 2024

Canzoni più corte e tutte uguali, eppure nessuno può far a meno di Spotify (neanche Neil Young)

“It’s better to burn out, than to fade away”. È meglio bruciare che spegnersi lentamente, cantava un cantautore di origini canadesi in My My, Hey Hey (Out of the Blue), una canzone simbolo del rock, uscita nel 1979.

La frase, che ha avuto un destino complicato, tanto da finire nella lettera di addio di Kurt Cobain, è il manifesto di un modo di vivere che Neil Young, il cantautore di cui sopra, ha sempre messo in pratica. Anche qualche anno fa quando, nel gennaio del 2022, l’autore di Heart of Gold aveva deciso di lasciare Spotify, in polemica con le esternazioni no-vax di Joe Rogan, il più famoso podcaster statunitense. “O me o lui”, aveva detto Young al Ceo dell’azienda svedese Daniel Ek. “Lui”, avevano risposto dal leader mondiale dello streaming musicale, complice anche un investimento di alcune centinaia di milioni di dollari sul controverso programma dell’ex comico americano. La protesta di Young era stata seguita da altri artisti, primi fra tutti Joni Mitchell e Graham Nash: anche loro avevano deciso di rimuovere la loro musica dalla piattaforma.

La mossa aveva fatto discutere. Su Rolling Stone era uscito un pezzo di Rosanne Cash, la figlia di Johnny Cash, che spiegava come, per la maggior parte degli artisti, lasciare Spotify fosse praticamente impossibile. Due anni dopo, un aggiornamento: stare fuori da Spotify è impossibile anche per Neil Young e Joni Mitchell.

La notizia, infatti, è che i due sono tornati sulla piattaforma svedese. Lo hanno annunciato a poca distanza l’uno dall’altro, nei giorni scorsi. Il pretesto sembra essere la scadenza del contratto di esclusiva tra Rogan e Spotify, che ha portato il podcast anche sulle altre piattaforme di streaming. "La mia decisione – ha scritto Young sul suo sito - arriva mentre i servizi musicali di Apple e Amazon hanno iniziato a offrire lo stesso genere di contenuti di disinformazione che avevo contrastato su Spotify. Non posso abbandonare tutti i servizi per ascoltare musica online, quindi ho deciso di tornare su Spotify”.

Il monopolio dello streaming e le sue conseguenze

È una storia interessante, che va oltre il piacere, per molti utenti, di ricominciare ad ascoltare la musica di due tra i più grandi cantautori di tutti i tempi. È una storia che racconta la centralizzazione della distribuzione musicale, la necessità per praticamente qualunque artista al mondo, di accettare una modalità di fruizione specifica della propria musica.

Del resto, secondo un’indagine del World Economic Forum relativa al 2022, nel mondo quasi 7 persone su 10 ascoltano musica esclusivamente tramite il web, tra piattaforme di streaming e social media come YouTube e TikTok. Tra i servizi dedicati, Spotify è di gran lunga quello più utilizzato: lo usa circa il 30% di chi ha un abbonamento per ascoltare musica.

Nessun problema in sé, anzi: lo streaming ha aperto un ventaglio infinito di possibilità. A distanza di un click, ogni utente ha a disposizione tutta la musica del mondo, pagando solo un abbonamento. Il punto è che, come spesso accade, gli spazi digitali hanno regole precise, che finiscono con l’influenzare direttamente il tipo di contenuti di cui fruiamo. Il monopolio dello streaming di conseguenze fondamentali ne ha almeno due: una riguarda chi ascolta, una chi produce musica.

Canzoni più corte e tutte uguali 

Partiamo da un dato: rispetto al 2000, le canzoni durano in media 30 secondi in meno. È una tendenza che ha a che fare anche con lo streaming. La percentuale di completamento di una canzone è una delle caratteristiche alla base del suggerimento degli algoritmi delle piattaforme come Spotify, ovvero quei sistemi che consigliano il prossimo brano o compongono le playlist personalizzate. E non solo: è anche la quota minima perché un ascolto si possa considerare tale, anche in termini di ricavi.

Questo vuol dire che più la canzone è corta e coinvolgente fin dall'inizio, più le persone l'ascoltano tutta. E quindi più alte sono le probabilità che questa venga suggerita ad altri utenti oppure inserita in qualche playlist. Oppure, che frutti un guadagno all'artista.

In senso più ampio, lo streaming inserisce un coefficiente di misurabilità: i dati riguardano ogni interazione con la musica, dall’aumento del volume al completamento a quante riproduzioni di quel brano vengono effettuate in un giorno. Si tratta di numeri molto interessanti per i produttori che, però, possono portare a un processo di omologazione: se ho dati precisi su quello che funziona, tendo a rischiare molto meno, ripetendo costantemente la formula che funziona.

Come cambiano i guadagni degli artisti

Se gli utenti ascoltano musica principalmente tramite streaming, anche i guadagni degli artisti passano per quelle piattaforme. I due anni fuori da Spotify, per dirne una, sarebbero costati a Neil Young oltre 300.000 dollari, secondo un’analisi di Billboard. Il punto è che davvero in questo caso non tutti sono gli autori di Heart of Gold e il sistema di pagamento delle piattaforme può finire col penalizzare gli artisti meno conosciuti.

Oggi, Spotify, paga gli artisti attraverso un sistema di royalty che si basa sul numero di volte che le loro canzoni vengono ascoltate. In sostanza, più una canzone viene riprodotta, più l’artista guadagna. Tuttavia, il calcolo esatto è un po’ più complesso: dopo aver trattenuto una percentuale dei ricavi per sé, Spotify distribuisce il resto tra gli artisti proporzionalmente al loro successo sulla piattaforma. Questo significa che gli artisti più ascoltati ricevono una fetta più grande del guadagno totale, indipendentemente dal tipo di abbonamento degli ascoltatori.

Con un aggravante, di recente introduzione: le canzoni che raccolgono meno di 1.000 riproduzioni in un anno non ricevono nessun pagamento. La mossa, introdotta per combattere gli streaming fraudolenti, rischia di mettere ancora più in difficoltà gli artisti più piccoli, quelli che non attraggono fette di pubblico importanti. E rischia, ancor di più, di spingere verso l’omogeneizzazione, verso la costante ricerca di un successo misurabile e replicabile, per garantirsi un minimo dei guadagni offerti dalla piattaforma.

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