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Sabato, 27 Aprile 2024

L'opinione

Matteo Scarlino

Direttore responsabile RomaToday

Sì, fare video su Youtube è un lavoro

I TheBorderline, gli youtuber protagonisti del tragico incidente in cui è morto il piccolo Manuel, stavano lavorando. Sì, fare video - anche quel tipo di video - è un lavoro, in cui se si è bravi si viene anche ben pagati. Se partiamo da questa verità, non ovvia per molti, la tragedia di Casal Palocco assume una luce ancora più assurda e pone degli interrogativi su delle responsabilità finite nascoste in questi giorni dall'ipocrisia di una retorica che si indigna senza analizzare o conoscere i veri problemi. Parliamo di responsabilità della politica, del sistema economico e più in generale della società che, a vario titolo, ignora, alimenta e sfrutta proprio questo tipo di lavoro. 

I creator

I creator sono artisti, influencer, semplici cittadini che usando i social hanno trovato la propria dimensione e il proprio guadagno. Quelli più importanti, a livello nazionale o internazionale, sono diventati dei veri colossi imprenditoriali, capaci di creare posti di lavoro. I più bravi sono proprio i giovanissimi che, fruendo più di tutti il mezzo, ne conoscono i meccanismi per generare view, visualizzazioni. View, hype e ancora view, view, view. View ad ogni costo, senza alcun limite, sfidando le regole, le leggi, alzando ogni volta l'asticella e abbassando di volta in volta il livello della dignità umana. Tutto "per farvi divertire", come dicono nella loro presentazione i TheBorderline.

E su internet non c'è nessuno che frena, nessuno pone limiti legislativi o anche solo morali. Non lo fanno le piattaforme che accettano tutto, anche contenuti contro le regole, le leggi, la dignità umana. Non frenano le leggi che non regolamentano la creazione o la fruizione dei contenuti: si possono girare video, anche estremi anche pericolosi o potenzialmente tali, tra la gente, nella quotidianità e poi vederli fruiti da minori, lasciati da soli davanti ad uno smarthphone. Non frenano le regole del comune sentire, della morale e della dignità: nel guardare idiozie oltre i limiti, nessuno si chiede "cosa sto guardando" o, peggio ancora, cosa sto facendo guardare a mio figlio. 

Poi all'improvviso, in un piovoso giugno romano, una Lamborghini guidata da un 20enne (sì, un ventenne può guidare un bolide del genere) ammazza un bambino e Roma e l'Italia si accorgono che c'è chi guadagna e vive così. E si indignano, quando magari gli stessi la sera prima avevano lasciato solo il proprio figlio minore davanti a Youtube, magari proprio a guardare i TheBorderline. 

È normale vivere così

"È normale vivere facendo video così?", si chiedono in tanti in maniera retorica. Sì, è normale. E attenzione: on line e sui social c'è anche di peggio (e per fortuna anche tanto di meglio, ndr). Ecco perché prendere atto del fatto che questo è un lavoro è il primo passo per cominciare ad affrontare il problema, per porre dei filtri, per mettere delle regole. Sì, perché certi comportamenti sono sempre esistiti, ma oggi il web, i social, le varie piattaforme hanno azzerato ogni filtro, arrivando a premiarli e a remunerarli: più fai view (il modo lo decidi tu, senza limiti) più guadagni.

La TV è stata soppiantata e in TV nessuno spettatore, nessun politico, accetterebbe un programma che mostra sfide estreme girate tra la gente, mettendo in pericolo l'incolumità dell'uomo della strada. Nessun network, nessun artista, otterrebbe l'autorizzazione per farlo. E quando anche, dopo averlo girato di nascosto, lo mandasse in onda, il giorno dopo verrebbe chiuso, con fuga degli sponsor e interrogazioni parlamentari annesse. 

Ecco (e qui parliamo di responsabilità del mondo economico) quegli stessi sponsor che da un contenuto TV del genere fuggirebbero, sul web corrono a finanziarlo e ad alimentarlo, perché su internet non esiste indignazione, non esistono regole, non esistono problemi. Le piattaforme e i loro algoritmi premiano certe condotte, le esaltano e invitano indirettamente a moltiplicarli. È facile capire come senza sponsor, con le piattaforme che spengono sul nascere certi comportamenti, legittimando e regolamentando quest'attività, oggi parleremmo di un posto decisamente diverso, meno anarchico, con delle regole.Regole che la politica non dà volutamente, perché nessuno vuole passare per il censore del luogo nato democratico (salvo poi trasformarsi in anarchico, ndr) per eccellenza, ovvero internet. Niente regole perché fa comodo tollerare una deregolamentazione o ignorare l'esistenza di questo mondo. Nel primo caso perché quella deregolamentazione diventa funzionale a delle esigenze di propaganda; nel secondo perché, a tragedia avvenuta, è più facile indignarsi in modo populista. 

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