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Domenica, 28 Aprile 2024
Nuove terapie

Così riprogrammiamo le nostre cellule per combattere il cancro

L'Irst di Meldola è tra i pochissimi centri in Italia ad aver ricevuto l'autorizzazione Aifa per produrre linfociti modificati geneticamente. Presto inizieranno i primi trial clinici per i pazienti con tumori onco-ematologici

Le Car-T sono uno degli sviluppi più innovativi e discussi dell’oncologia dei nostri giorni. Frutto di quasi 40 anni di ricerca, e sbarcate nel mercato farmaceutico appena sette anni fa, sono una forma di terapia genica che permette di reclutare il sistema immunitario dei pazienti per contrastare lo sviluppo dei tumori. Promettono di trattare tumori onco-ematologici contro cui falliscono tutte le altre linee di terapia, ma con prezzi da capogiro, e un’efficacia e una sicurezza a lungo termine ancora tutte da scoprire, visto che la loro diffusione nella clinica è ancora molto recente. Un campo promettente, insomma, in cui la ricerca è estremamente viva e che vede il nostro Paese in prima fila: è degli scorsi giorni, infatti, la notizia dell’autorizzazione fornita da Aifa alla prozione di Car-T nella Immuno-Gene Therapy Factory dell'Istituto romagnolo per lo studio dei tumori (Irst) 'Dino Amadori' di Meldola, che diventa così il terzo polo di ricerca italiano (e il primo romagnolo) dedicato allo studio e allo sviluppo clinico di queste terapie rivoluzionarie. Vediamo cosa può significare per i pazienti. 

Car t

Quella con le Car-T è una forma di immunoterapia basata sulla terapia genica. Punta quindi a attivare le cellule del nostro sistema immunitario, in questo caso i linfociti T, perché vadano a caccia delle cellule tumorali e le distruggano. Per farlo i linfociti vengono prelevati dal paziente e modificati in laboratorio utilizzando tecniche di ingegneria genetica, in modo che esprimano una classe di recettori antitumorali sintetici nota come chimeric antigen receptors (il Car, appunto, in Car-T), che combinano la capacità di attivare i linfociti T e di indirizzarli verso un bersaglio (o meglio un antigene) presente sulla membrana delle cellule del tumore. 

Nella pratica, la terapia inizia con un prelievo con cui vengono raccolti i linfociti T del paziente, prosegue quindi in laboratorio dove vengono ingegnerizzati per esprimere i recettori Car e poi “espansi” per ottenere milioni di copie dei nuovi linfociti sintetici, e si conclude in ospedale, dove vengono reinfusi in modo che vadano a caccia delle cellule tumorali. Il processo è evidentemente laborioso, e quindi costoso, con prezzi che superano i 300-400 mila euro a paziente, ma offre risultati altrimenti impossibili in caso di tumori recidivanti, per i quali le opzioni terapeutiche sarebbero praticamente nulle. Lo sviluppo commerciale di queste terapia ha portato negli ultimi anni alla rapida approvazione di sei Car-T a partire dal 2018 (in Italia la prima è arrivata nel 2019) indirizzate al trattamento di pazienti affetti da linfoma, leucemia linfoblastica acuta e mieloma, e allo sviluppo di una rete di centri clinici che comprende ormai 31 istituti autorizzati alla somministrazione in tutto il territorio italiano. I risultati, lo dicevamo, sono promettenti (in alcuni casi strabilianti), ma non mancano i problemi. 

Durata, tossicità e costi

Le Car-T attualmente mostrano risultati sorprendenti soprattutto in pazienti in fase avanzata di malattia, che non hanno risposto alle terapie standard e per i quali le opzioni terapeutiche sarebbero altrimenti limitatissime, così come le chance di sopravvivere. Per linfomi e leucemia linfoblastica acuta, permettono a moltissimi pazienti di eliminare la malattia con efficacia tale da iniziare a parlare ormai di guarigione, anche se il follow up è ancora troppo breve per avere certezze sulla durata nel tempo. Per i mielomi per ora l’efficacia non si è ancora rivelata così potente, ma in molti pazienti permettono comunque di tenere a bada la malattia a lungo, in fasi in cui altrimenti non sarebbe più possibile intervenire. 

Purtroppo, attualmente circa il 50% di pazienti che vengono trattati con le Car-T è destinato ad andare incontro a una recidiva. Queste terapie sono inoltre gravate da gravi effetti collaterali, anche potenzialmente letali, e dal rischio (considerato attualmente molto contenuto) di indurre la comparsa di tumori secondari. Le modalità di personalizzazione delle terapie impongono inoltre tempi relativamente lunghi per l’accesso, perché i pazienti devono essere seguiti in centri clinici autorizzati e i loro linfociti T devono essere inviati ai laboratori delle aziende farmaceutiche per essere ingegnerizzati, e trascorrono quindi diverse settimane prima che vengano rispediti ai centri per l’infusione. Attualmente, inoltre, questa tecnologia si è rivelata efficace unicamente contro alcuni sottogruppi specifici di neoplasie ematologiche, e ancora del tutto inefficace nel caso di tumori solidi. 

La ricerca

Nonostante siano il frutto di decenni di ricerche, le Car-T sono un campo che vive ancora la sua infanzia. Devono ancora dimostrare sul campo di valere appieno l’enorme investimento economico e organizzativo che chiedono ai sistemi sanitari, e di poter trattare una platea di pazienti più ampia di quella attuale. È per questo che è importante continuare a fare ricerca. “Attualmente siamo tra i pochissimi laboratori autorizzati per la produzione di linfociti modificati geneticamente, insieme al Bambino Gesù di Roma e San Gerardo di Monza”, ci spiega Massimo Petrini, direttore dell’Immuno-Gene Therapy Factory dell'Istituto romagnolo per lo studio dei tumori. “Ora stiamo lavorando allo sviluppo di protocolli per studi di fase 1 e 2 per la sperimentazione delle Car-T in campo onco-ematologico, e ci sono molti aspetti di queste terapie che puntiamo a indagare nei prossimi mesi e nei prossimi anni”. 

Gli aspetti della ricerca più interessanti, ci spiega Petrini, sono tentare di migliorare la persistenza delle cellule modificate geneticamente nell’organismo, e quindi la loro efficacia; ridurre le tossicità legate al trattamento, anche utilizzando altri farmaci; la ricerca di nuovi bersagli molecolari, con cui riuscire magari a colpire efficacemente anche i tumori solidi. Esistono inoltre molti altri tipi di terapie cellulari in fase di studio, come le Car-Cik o la terapia con linfociti infiltranti il tumore, che stanno dando risultati promettenti e che potrebbero vedere la luce, nella clinica, già nei prossimi anni. “Quello delle terapie avanzate è un campo di studi in pieno fermento – conclude Petrini – e avere più laboratori capaci di produrle e portare avanti sperimentazioni per i pazienti italiani vorrà dire avere accesso a più trial clinici, e quindi più opportunità di trattamento, e anche una maggiore prossimità che velocizzerà i tempi per ottenere le terapie, e le renderà più sostenibili sul piano economico”. 

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