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Lunedì, 29 Aprile 2024
Evoluzione

I lupi di Chernobyl hanno sviluppato delle mutazioni genetiche anti-cancro

Nel Dna degli animali che abitano nella zona di alienazione, in cui i livelli delle radiazioni sono ancora pericolosi per l’uomo, sono presenti mutazioni che sembrano conferirgli una maggiore resistenza nei confronti dei tumori

In seguito all’incidente di Cherobyl del 1986 circa due chilometri quadrati di foresta attorno alla ex centrale nucleare sovietica sono stati dichiarati off-limits per gli esseri umani. E in poco tempo, questa “zona di alienazione” (questo il termine ufficiale) si è trasformata in un’oasi naturale, in cui la vita animale e vegetale, senza l’uomo a disturbarla, è tornata a prosperare. Come è stato possibile, nonostante le dosi potenzialmente letali di radiazioni che ancora inquinano l’area? Uno studio dell’Università di Princeton potrebbe avere la risposta: analizzando il Dna dei lupi che abitano nei pressi di Chernobyl, infatti, gli autori hanno individuato la presenza di diverse mutazioni che sembrano conferire agli animali un’elevata protezione nei confronti del cancro. 

La ricerca è stata realizzata dalla biologa evoluzionista Cara Love, che ha presentato i suoi risultati nel corso del congresso annuale Society for Integrative and Comparative Biology americana, che si è tenuto nelle scorse settimane a Seattle. Nel 2014, la scienziata, insieme a un gruppo di colleghi di Princeton, ha visitato la zona di alienazione di Chernobyl raccogliendo campioni di sangue della popolazione locale di lupi e applicando dei radiocollari ad alcuni individui. 

I collari erano muniti di dosimetri con cui i ricercatori hanno potuto calcolare in tempo reale l’esposizione degli animali alle radiazioni. Che è risultata estremamente elevata anche a più di trent’anni dall’incidente nucleare: in media, i lupi di Chernobyl convivono con una dose giornaliera di radiazioni pari a 11,28 millirem, sei volte superiore – spiega Love – all’esposizione permessa per legge ai lavoratori americani ed europei. 

Analizzando il sangue prelevato dagli esemplari che abitano la zona radioattiva Love ha individuato diverse alterazioni a danno del sistema immunitario, simili a quelle che si vedono in pazienti sottoposti a radioterapia. E studiando il loro Dna ha notato mutazioni comparse in specifiche regioni del genoma, che sembrerebbero avere un effetto protettivo nei confronti dei tumori. Secondo la ricercatrice, potrebbero essere comparse per effetto della selezione naturale, in quanto offrono maggiori chance di sopravvivere in un’area in cui gli alti livelli di radiazioni rendono il rischio del cancro fin troppo reale. 

Studiare queste mutazioni potrebbe offrire informazioni preziose per sviluppare nuovi trattamenti antitumorali, ma purtroppo per ora le ricerche di Love sono sospese a causa della guerra in Ucraina. E non è facile dire quando potranno riprendere, perché anche a conflitto concluso la zona di Chernobyl, già pericolosa a causa delle radiazioni, sarà per anni (se non decenni) ancora più letale, per via delle migliaia di mine anti-uomo piazzate dai combattenti negli ultimi due anni. 

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