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Lunedì, 29 Aprile 2024
Misteri geologici

Il nucleo della Terra ha una perdita, ed è una buona notizia

Uno studio dell'Mit suggerisce che il nucleo potrebbe contenere delle sacche di elio che viene rilasciato costantemente nel mantello. Se confermato, offrirebbe un metodo per studiare uno dei luoghi più irraggiungibili del Sistema Solare

Il nucleo della Terra perde. Non parliamo di lava, ma di gas. E di uno particolarmente interessante: l’elio, un gas nobile estremamente raro sul nostro pianeta, e uno dei più promettenti carburanti per reattori a fusione del futuro (se mai riusciremo a realizzarli e renderli convenienti, ovviamente). L’ipotesi ha già qualche anno, ma un nuovo studio pubblicato su Nature porta nuove prove estremamente convincenti a suo favore, grazie ad una ampia analisi delle rocce vulcaniche dell’isola di Baffin, nell’arcipelago artico canadese, che ha rivelato quantità elevatissime di un isotopo conosciuto come elio 3 proveniente, con ogni probabilità, dai pennacchi di lava che risalgono dalle zone più profonde del mantello, catturando i gas che sfuggono dal nucleo del nostro pianeta. 

Un gas rarissimo

L’elio è un gas estremamente leggero e inerte, e questo vuol dire che tende a sfuggire regolarmente dalla nostra atmosfera e disperdersi nello spazio aperto. È per questo che la sua presenza sulla Terra è estremamente limitata. Il poco che abbiamo a disposizione proviene da depositi sotterranei, dove è rimasto intrappolato nel lontano passato, quando la Terra era in via di formazione, a partire dalla nebulosa che ha dato origine al sole e agli altri pianeti del Sistema Solare. 

Visto che il mantello è soggetto a continui moti convettivi che lo rimescolano, si ritiene che nei miliardi di anni dalla nascita della Terra l’elio in esso contenuto dovrebbe ormai essere quasi completamente scomparso, spinto vero la superficie e poi disperso, un po’ alla volta, nello spazio. La sua presenza nella roccia lavica può quindi avere solo due origini: sacche di elio ancora presenti nel mantello, e sfuggite in qualche modo agli effetti dei moti convettivi, o una riserva ancora più profonda, che ne rilasci costantemente piccole quantità.

Lo studio

Proprio per chiarire l’enigma, i ricercatori del Massachussetts Institute of Technology hanno deciso di visitare l’isola di Baffin, dove in passato erano già stati misurati livelli particolarmente elevati di elio 3, isotopo dell’elio con un unico neutrone che si ritiene fosse comune nell’antica nebulosa che ha dato origine al Sistema Solare, ma che oggi di norma è molto più raro rispetto al più comune elio 4. 

Le loro analisi hanno coinvolto dozzine di campioni di rocce vulcaniche prelevati in siti sparsi su tutta l’isola. E hanno confermato una presenza anomala di isotopi dell’elio: il rapporto tra elio 3 e elio 4 è infatti fino a 70 volte più elevato di quanto sia mai stato registrato in qualunque altro punto dell’atmosfera terrestre. Le analisi hanno permesso inoltre di escludere la possibilità che il fenomeno fosse dovuto a qualche tipo di contaminazione avvenuta dopo l’eruzione che ha portato le rocce in superficie. E hanno identificato inoltre isotopi di altri gas nobili, come il neon, che confermano la presenza di condizioni simili a quelle del mix di atomi che componeva la gigantesca nebulosa primordiale da cui ha avuto origine il nostro pianeta.

Il nucleo perde

Tutto considerato, i ricercatori ritengono che le loro analisi confermino la possibilità che esista una riserva di elio intrappolato nel nucleo terrestre dai tempi in cui si è formata la Terra, che continua ancora oggi a filtrare in direzione del mantello, e quindi ad emergere in occasione delle eruzioni vulcaniche che trasportano le rocce fuse del mantello in superficie. I risultati dello studio non permettono di confermare definitivamente l’ipotesi, ma rappresentano un indizio importante. E come spiegano gli autori dello studio, se l’interno della Terra perde veramente elio 3 si tratterebbe di una scoperta importantissima: non solo rappresenterebbe una fonte abbondantissima di questo materiale raro dalle molteplici applicazioni tecnologiche, ma fornirebbe anche un metodo indiretto per studiare il nucleo del nostro pianeta, uno dei luoghi più irraggiungibili dell’intero Sistema Solare. 

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