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Martedì, 30 Aprile 2024
Gli effetti del cambiamento climatico

Chi rischia di "affogare" per colpa del cambiamento climatico

Uno studio su Nature ha valutato le capacità di adattamento delle coste del pianeta, concludendo che se le medie mondiali saliranno oltre il grado e mezzo, moltissimi ecosistemi costieri potrebbero finire sommersi

Gli ecosistemi costieri sono tra i più importanti e ricchi di biodiversità del nostro pianeta. Che si tratti di foreste di mangrovie, barriere coralline o paludi salmastre, questi ambienti ricchi di forme di vita vegetali e animali proteggono infatti l’entroterra dalla furia delle onde e dall’innalzamento del livello degli oceani, sequestrano CO2 riducendo l’impatto delle attività umane sul clima, e ospitano miriadi di specie animali e vegetali uniche. La loro sopravvivenza è essenziale non solo per la natura, anche per il benessere di milioni di esseri umani. E purtroppo, sembra che sia a rischio: se non manterremo l’aumento delle temperature nel prossimo secolo entro il grado e mezzo deciso con gli accordi di Parigi, ampie porzioni degli ecosistemi costieri terrestri rischiano di sparire, sommersi dalle acque degli oceani. 

A rivelarlo è uno studio pubblicato di recente su Nature, che ha attinto a una ampia gamma di dati geologici, satellitari e di monitoraggio ambientale, per verificare la resilienza degli ambienti costieri del nostro pianeta ai cambiamenti climatici attesi nei prossimi decenni. In totale, la ricerca ha analizzato 190 foreste di mangrovie, 470 paludi salmastre e 872 isole coralline di tutto il mondo, utilizzando delle simulazioni al computer per studiare come evolveranno le condizioni in risposta all’aumento delle temperature e all’innalzamento delle acque degli oceani. 

Il responso è duplice. Da un lato, infatti, i dati disponibili indicherebbero che questi ecosistemi costieri hanno un’elevata capacità di resistenza ai cambiamenti ambientali, quando questi procedono ad un ritmo relativamente contenuto. Se il livello delle acque sale lentamente, la vegetazione costiera (così come i coralli) risponde innalzando la sua biomassa, sequestrando al contempo una maggiore dose di carbonio dall’atmosfera (e aiuta così a contrastare in parte le emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane).

Quando il ritmo con cui si alzano le acque del globo si fa però più rapido, gli ecosistemi costieri perdono la loro capacità di adattamento, e finiscono per essere sommersi, e sparire. Secondo i calcoli effettuati dagli autori dello studio, in media gli ecosistemi costieri possono adattarsi in presenza di un aumento del livello delle acque non superiore ai 2-4 millimetri per anno. Se il fenomeno si fa più rapido, invece, finiscono per “annegare”. 

Il loro destino, quindi, dipende strettamente dall’andamento che avranno in futuro i cambiamenti climatici. In uno scenario in cui il riscaldamento globale non supererà il grado e mezzo, la velocità dell’innalzamento delle acque dovrebbe infatti rimanere compatibile con le capacità di adattamento degli ecosistemi costieri. Tra il grado e mezzo e i due gradi, potrebbe arrivare a 4-5 millimetri per anno, provocando danni in alcune aree del pianeta. Sopra i due gradi arriveremmo invece ad un innalzamento delle acque di 7-8 millimetri l’anno, con elevate probabilità che foreste di mangrovie, paludi salate e isole coralline non riescano a tenere il passo, finendo per scomparire.

Se così fosse, non solo perderemmo un’enorme patrimonio di biodiversità, ma anche un prezioso “pozzo di carbonio” (o carbon sink), ovvero uno degli ecosistemi terrestri che aiuta a sequestrare la CO2 in eccesso dall’atmosfera, mitigando l’andamento dei cambiamenti climatici. E rischia di non essere l’unico: anche le grandi foreste del Sud America, come quella dell’Amazzonia, sembrano infatti avere difficoltà quando le temperature si fanno troppo elevate. Uno studio dell’Università di Leeds, appena pubblicato su Nature Climate Change, ha studiato la crescita degli alberi delle foreste sudamericane tra il 2015 e il 2016, quando è avvenuto l’ultimo evento El Niño, un fenomeno climatico ciclico in cui il Sud America tende ad essere interessato da siccità e temperature molto elevate. I dati raccolti hanno dimostrato che se in un’annata normale le foreste sudamericane sequestrano in media un terzo di tonnellata di carbonio per ettaro, durante El Niño la quantità scende praticamente a zero, principalmente a causa della morte degli alberi più fragili, che determina il rilascio in atmosfera del carbonio incamerato nei loro tronchi. 

Una pessima notizia, perché significa che se in futuro le temperature continueranno ad aumentare, rischiamo di veder diminuire sensibilmente il contributo dell’Amazzonia e delle altre zone verdi del Sud America nel contrastare l’effetto serra. E il pericolo è più che mai attuale, visto che il nuovo ciclo El Niño è iniziato proprio quest’anno, e durerà almeno per tutto il 2024. 

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