Le Iene, LDA: “Ho dimostrato che anche i ‘figli di’ possono fare tante cose”

20 appena compiuti, un tatuaggio a forma di chiave di violino e si definisce ‘neomelodico nell’indole’, una fidanzata, Luca D’Alessio, meglio noto con il nome d’arte LDA,  è uno degli ospiti della puntata de Le Iene di martedì 25 aprile e si sottopone, molto sorridente, al fuoco di fila di domande per raccontare un po’ di se, del suo percorso artistico del suo rapporto con suo padre, Gigi D’Alessio.

 E infatti mette subito le carte in tavola, quando viene provocato, “Hai un cognome famoso”…

“Sono il figlio di Gigi D’Alessio… ma io ho i capelli ancora!”

Eppure, nonostante il cognome pesante nel mondo della musica italiana, il giovane artista ha deciso di lavorare con un nome d’arte e spiega così la sua scelta: “Le mie prime due canzoni le ho fatte come Luca d’Alessio, però poi mi è venuta la paranoia e alla fine ho deciso, via D’Alessio e ho lasciato LDA”.

Non può mancare una domanda che è una giusta provocazione: sei la dimostrazione che il talento è genetico? Viene chiesto a LDA che risponde: “ No, sono la dimostrazione anche da ‘figlio di’ si possono fare tante cose”.

Racconta di essere cresciuto, come forse inevitabile a ‘pane, musica…E Gigi’, e di aver capito di voler cantare a quattordici anni. “Però avevo paura di dirlo, perché mi sembrava una cosa ridicola” spiega il ragazzo “Invece poi [in famiglia] l’hanno presa bene. Quando l’ho detto a papà mi misi a piangere, perché pensavo fosse una cosa sbagliata da ‘figlio di’. E invece lui fu superfelice”.

Se gli si chiede se, per un figlio d’arte è più facile o difficile avere successo, LDA non ha dubbi: “Io so che ad oggi, se sbaglio una piccola cosa, è finita”.

LDA ha avuto una grande possibilità di farsi conoscere dal pubblico partecipando ad Amici e su quell’esperienza racconta a Le Iene: “E’ stato difficile entrare, perché ti trovi a competere con tantissimi ragazzi. Il mio successo è merito soprattutto di Maria De Filippi”.

Ma se anche suo figlio volesse fare il cantante, che penserebbe lui?

“Lo accompagnerei io in studio, anche se alla terza generazione forse romperemmo troppo le scatole”.