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Martedì, 30 Aprile 2024
Alimentazione

Come si produce e come si cucina lo speck, il prosciutto di montagna

Cosce di suino speziate, affumicate ed essiccate all’aria aperta, prodotte in Alto Adige come secoli fa e marchiate Igp. Lo speck non è buono soltanto nel panino: parola dei migliori chef

Lo speck, prosciutto affumicato di lunga tradizione e grandi potenzialità gastronomiche, è un monumento al carattere dell’Alto Adige tanto quanto le sue montagne, le sue mele e il suo buon vino. Nato per soddisfare le esigenze di una terra di confine — affascinante come tutti i crocevia di flussi e culture (anche culinarie) — il salume è figlio tanto della tradizione dell’affumicatura a nord delle Alpi quanto di quella, tutta mediterranea, dell’essiccazione all’aria. Un prodotto tutelato da marchio Igp dal 1996, certamente conosciuto in tutta Italia, ma forse non poi così bene. Ecco esattamente come si produce e chi lo valorizza al meglio a tavola.

Speck Igp Alto Adige, ph. Armin Terzer

Come si produce lo speck Alto Adige Igp

Ci ha tenuto tanto, la comunità altoatesina, a tutelare una preparazione in voga già dal XII secolo, fondamentale per preservare durante l’anno le carni suine macellate nel periodo natalizio. Le prime tracce si trovano nei registri contabili dei macellai del Duecento, con una parola che deriva dall’alto tedesco “spek”, piuttosto esplicita: “spesso”, “grasso”. La produzione segue oggi un disciplinare preciso.

Una baffa di speck Igp Alto Adige, ph. Armin Terzer, IDM Alto Adige

Si parte dalla selezione di cosce di maiale magre, macellate in conformità agli standard e poi marchiate con data di inizio produzione. Si procede con la speziatura che conferisce il tipico aroma “alpino”, a base di una miscela di sale, pepe e ingredienti che fanno la cifra di ciascun produttore: alloro, rosmarino, ginepro e a volte aglio rosso, coriandolo o cumino. Le baffe (così si chiamano le cosce intere) sono lasciate a salmistrare a secco per tre settimane, prima di passare a un’affumicatura leggera con legno poco resinoso. Una modalità di conservazione, questa, tipica d’Oltralpe, che genera prodotti dall’aroma intenso e che però, nello speck, incontra la maniera più “morbida” di essiccare le carni all’aria. Quella limpida di montagna, alla quale i pezzi vengono alternativamente esposti durante l’affumicatura. Si termina con la stagionatura — una volta avveniva in cantina — che dura in media 22 settimane.

La marchiatura dello speck, ph. Blickle, IDM Alto Adige

Quanti tipi di speck esistono?

Il nostro è un salume più variegato di quanto non sembri. Mentre quella appena descritta è la preparazione principale, che contraddistingue ciascuno dei 28 produttori del Consorzio di Tutela Speck Alto Adige, sono soltanto in 4 a produrre il Bauernspeck.

Speck Igp Alto Adige, ph. Armin Terzer

Parliamo di una piccola nicchia ancor più legata alla tradizione, memore dei tempi in cui del maiale non era contemplato sprecare alcuna parte (per davvero). I suini sono allevati in piccoli gruppi nei masi altoatesini e macellati al peso di 120-130 kg; il prodotto che deriva è dunque apprezzato per la percentuale di grasso un po’ superiore.

Lombo di cervo con manto di speck di Karl Baumgartner

Mentre il marchio Igp è destinato alle sole cosce, il Bauernspeck si allarga alla coppa, alla spalla, al carrè e alla pancia. Ognuno con caratteristiche organolettiche peculiari. “È il rapporto tra magro e grasso a variare e fare la differenza”, spiega Hanna Steiner della macelleria omonima, “dove il primo assorbe bene gli aromi e accoglie la speziatura, mentre il secondo dà tutta la morbidezza”. Non esiste dunque “lo” speck, ma “gli” speck: una varietà inaspettata, da scoprire alla tavola di alcuni dei migliori ristoranti della provincia più a nord dello Stivale.

Risotto al Lagrein con formaggio di capra e croccante di speck di Tina Marcelli

Lo speck nelle cucine di ristoranti e masi altoatesini

Qualora vi troviate a passare per l’Alto Adige in autunno, mettete in agenda la grande Speckfest di fine settembre — nel 2023 per la prima volta sulla panoramica cima di Plan di Corones — o affidatevi ad alcuni dei migliori chef e ristoratori per capire come questo prodotto valga ben più di un panino imbottito. C’è ad esempio Karl Baumgartner, punto di riferimento di queste valli al suo Schönek di Falzes, che completa una tartare di rape rosse col salume rosolato oppure lo declina negli gnocchi di zucca e nel lombo di cervo con “manto di speck”.

Piatto e birra artigianale del maso Hubenbauer

Oppure la 36enne Tina Marcelli, chef dell’Artifex dell’hotel Feuerstein in Val di Fleres, che prepara un risotto al Lagrein con formaggio di capra e croccante di speck; e addirittura un dessert, gli strauben (frittelle tirolesi di farina, uova e latte) con mirtilli rossi, riso al latticello e polvere di speck.

Piatti di Lerchner a Runggen

Poi Johan Lerchner al suo maso di Runggen — con carni allevate in famiglia e vegetali locali — che lo propone nella “merenda alla pusterese” insieme a prosciutto di cervo, formaggio grigio della Valle Aurina e burro del contadino. Al maso Hubenbauer di Varna si aggiunge come da tradizione nei canederli o nell’omelette (abbinateci una delle loro birre artigianali e terminate con un gelato fatto in casa ai porcini).

Fabio Curreli, chef dell'AlpiNN di Plan de Corones

Lo chef sardo Fabio Curreli, di stanza al panoramico AlpiNN del museo Lumen di Plan de Corones, lavora sui prodotti dell’arco alpino applicando i principi del progetto Cook the Mountain di Norbert Niederkofler e lo interpreta con piglio creativo: in carta i canederli, sì, ma in crosta croccante, con cuore di formaggio, brodo di speck e granita di cipolla rossa.

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