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Sabato, 27 Aprile 2024
SENTENZE

Cassazione: "Parolisi uccise in un impeto di rabbia"

Secondo i giudici l'ex caporalmaggiore uccise la moglie durante un litigio dovuto alla sua "conclamata infedeltà coniugale". In questo contesto, il numero di colpi inferti non può essere ritenuto "fonte di aggravamento di pena"

Salvatori Parolisi ha ucciso la moglie Melania Rea in "un'esplosione di ira" nata durante un litigio dovuto alla "conclamata infedeltà coniugale" dell'uomo. E' quanto sostengono i giudici della prima sezione penale della Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza che ha ridotto la condanna dell’ex caporalmaggiore facendo cadere l’aggravante della crudeltà. Secondo i supremi giudici l’uccisione di Melania Rea, a Civitella del Tronto il 18 aprile 2011, non fu dunque premeditata.
 
LA DINAMICA DEL DELITTO - "L'azione risulta sin dall'impostazione iniziale di accusa commessa con dolo d'impeto, dunque inquadrata come 'risposta immediata o quasi immediata ad uno stimolo esterno', senza alcuna programmazione preventiva. Le modalità esecutive", scrivono i giudici della suprema corte, "alimentano la considerazione di un'azione lesiva commessa con estrema rapidità", frutto "di rabbia e aggressività".

CADE L’AGGRAVANTE DELLA CRUDELTA’ - Riguardo alla decisione di escludere l’aggravante della crudeltà dai capi d’accusa, i giudici spiegano che "la mera reiterazione dei colpi (pur in tal caso consistente) non può essere ritenuta fonte di aggravamento di pena, in un contesto sorretto dal dolo d'impeto". Anche "la sede delle lesioni per lo più al tronco e in zona sternale non risulta indicativa di alcun ulteriore determinismo volitivo".

PRIMO GRADO - Il processo di primo grado si era concluso con la condanna di Parolisi all'ergastolo. All'ex caporalmaggiore furono comminate tutte le sanzioni accessorie, dall'interdizione perpetua dai pubblici uffici alla perdita della patria potestà genitoriale. 

IL PROCESSO D'APPELLO - In appello la pena fu ridotta a trenta anni di carcere dai giudici della corte d'assise d'appello dell'Aquila, dopo la scelta dell'imputato di essere giudicato con il rito abbreviato. Non più ergastolo, quindi, ma trent'anni di reclusione: pena che ora dovrà essere nuovamente ricalcolata. 

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