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Sabato, 27 Aprile 2024
Dentro la notizia / Frosinone

Sangue, droga, prostituzione. Dentro la città diventata la "terra di mezzo" del crimine

Lo spaccio nel “Casermone”, le sparatorie anche in pieno centro come quella in cui è stato ucciso il 27enne Kasem Kasmi. Così Frosinone è diventata l’oasi di criminali romani e campani

Una terra di mezzo, una sorta di alveare in cemento armato. Un dedalo di appartamenti, cantine, ripiani blindati e sorvegliati dove lo spaccio di droga è il 'core business'. Situato in piazza Europa, nella parte bassa di Frosinone, a poche decine di metri dalla sede della Curia Vescovile, l'immenso plesso popolare denominato 'Casermone' prende il nome dalla mastodontica struttura, composta da centinaia di appartamenti, molto simile ad altre situate nelle periferie di Roma (Corviale) e Napoli (Secondigliano).

La conformazione dell'edificio favorisce le vedette, che proteggono i gruppi criminali all'interno con dei punti di spaccio facilmente raggiungibili, garantendo l'anonimato agli acquirenti. Questi ultimi arrivano, acquistano e vanno via senza dare nell'occhio. Il controllo del casermone è assoluto e autoritario. Ecco perché da anni c'è una lotta intestina tra bande per gestire appartamenti e cantine, che all’occorrenza diventano luogo di rifornimento, di preparazione e di smercio di cocaina, eroina e tante altre sostanze stupefacenti presenti sul mercato.

Il Casermone

Questo è il 'Casermone' e questa è la premessa di una storia che sabato 9 marzo, alle 19, ha avuto un epilogo per certi versi annunciato. Perché ai colpi di pistola ed agli agguati Frosinone è stata abituata, ma non in modo così plateale. Questa volta i componenti di due famigerati gruppi di origine albanese si sono fronteggiati a suon di proiettili, in pieno centro, lungo la strada della movida, via Aldo Moro. Non un’arteria di borgata ma un punto di riferimento soprattutto per i componenti di una società medio-alta.

La sparatoria ha segnato un punto di non ritorno per l'intera città. L’azzeramento degli steccati sociali ed un’unica grande sensazione: la paura di essere uccisi. Solo per caso i proiettili esplosi dall'arma detenuta illegalmente dal 23enne Mikea Zana non hanno centrato passanti e gruppi di giovani, che in quel momento si trovavano all’interno di un bar tranquillo e gestito da gente perbene.

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