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Lunedì, 29 Aprile 2024
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Corto Maltese e Irene di Boston, di Marco Steiner con i disegni di Hugo Pratt

La ballata di un giovane marinaio

Solo grandi storie meritano di essere continuate, voce che si aggiunge a una voce, anche se ormai si potrebbe parlare di un piccolo coro per il lavoro di Marco Steiner.

È da poco uscito un romanzo in cui l’autore, Steiner appunto, mette in scena il noto marinaio prattiano, Corto Maltese e Irene di Boston. La storia di un appuntamento quasi impossibile, con le immagini di Hugo Pratt (Cong ed. 2024).

Vorrei soffermarmi principalmente sul sottotitolo, in particolare sul «quasi» e sull’«impossibile», piuttosto che presentare il romanzo, i protagonisti, le affinità o i vari padri e padrini letterari che altri rintracceranno: ritengo infatti che il «quasi» e «l’impossibile» siano la cifra adatta per conoscere la letteratura di Marco Steiner.

È proprio nello scarto tra l’impossibile e lo straordinario che si muove la prosa di Marco Steiner, l’unico autore capace di farmi (farci) transitare tra i due termini sinonimi. Dalla morte di Hugo Pratt era impossibile (non è possibile) leggere ancora di Corto, poi arriva Il corvo di pietra (2014), Oltremare (2015), Miraggi di memoria (2019) e l’impossibile diviene reale, o se volete è straordinario (extra ordinario), leggere ancora di Corto Maltese.

L’incontro impossibile tra Irene, il veliero naufragato, e il marinaio Corto ricorda l’amore di lontano, l’amor de lohn, della tradizione trobadorica del poeta trobadore francese Jaufre Rudel (XII sec.).  È noto l’episodio tratto dalla sua vida, la biografia anonima. Jaufre si innamora della contessa di Tripoli, senza averla mai veduta, per quell’amore inizia un viaggio, si mise per mare, perché prendere il mare è sempre di per sé una risposta:

«Jaufré Rudel di Blaia fu un uomo molto cortese. E si innamorò della contessa di Tripoli, senza vederla, per il bene che ne aveva sentito dire dai pellegrini che venivano da Antiochia. E fece su di lei molte canzoni con delle belle melodie e semplici parole. E per la volontà di vederla, si fece crociato e si mise per mare, e in nave si ammalò e fu condotto a Tripoli, in un albergo, come morto. E fu fatto sapere alla contessa ed ella andò da lui, al suo letto, e lo prese tra le sue braccia. Ed egli seppe che quella era la contessa, e in quel momento recuperò l'udito e il respiro e ringraziò Dio per averlo tenuto in vita fino a che potesse vederla; e così morì tra le sue braccia. E lei lo fece seppellire con grandi onori nella casa del Tempio; e poi, quel giorno stesso, si fece monaca, per il dolore che ebbe per la morte di lui».

Poesia trobadorica quindi, le metafore e le idee, sebbene non infinite hanno possibilità di intrecciarsi formando costantemente nuove storie, aspetti diversi di figure antiche, poetiche, leggendarie o mitiche.

E Corto Maltese? Come agisce in un contesto che con troppa foga sembra impossibile? Forse è d’aiuto Cristina Campo secondo cui l’impossibile assomiglia a un palindromo: «questo doppio movimento non può non esigere dall’eroe della fiaba una perfettamente ascetica disposizione d’animo: egli dovrà dimenticare tutti i suoi limiti nel misurarsi con l’impossibile, vigilare senza riposo su quei limiti nell’attuarlo» e di conseguenza «con un cuore legato non si entra nell’impossibile».

Per cimentarsi in questo agone è necessario dimenticare limiti e leggi fisiche, sciogliere i nodi del cuore. Secondo Sergio Givone: «Uno spirito e una visione non sono, come suppongono i filosofi moderni, un vapore nebuloso o un nulla […] Colui che non immagina secondo figure più forti e migliori, e in una luce più forte e migliore di quella che può vedere l’occhio mortale e corruttibile, non immagina affatto», oltre la natura mortale esiste una realtà più reale del reale, e come si sa Corto è abituato a sognare ad occhi aperti.

È una posizione prossima all’iconofilia, la visione (l’icona degli ortodossi) deve essere considerata nel mondo iperreale, più reale di ciò che comunemente è pensato come reale. Per cimentarsi nel reame dell’impossibile è necessario ricordarsi con Paul Celan che «la realtà non è, la realtà va cercata e conquistata».

E il «quasi»? Che relazione ha Marco Steiner con questo avverbio? Ha una connotazione negativa, nel senso di non completezza, non completamente raggiunto, se c’è un autore che tende al «quasi» questi è Steiner, egli ha la capacità di trascendere il genere.

I suoi lavori infatti non sono romanzi, né racconti, né testi teatrali, né poemetti, o se preferite la formula positiva, sono quasi dei romanzi quasi dei racconti ecc.

Il libro Corto Maltese e Irene di Boston non sfugge a questa regola; non è un testo teatrale (ma lo è stato), non è un romanzo e non è una graphic novel, non è un poemetto ma contemporaneamente è tutto ciò.

Anche il racconto e gli eventi che sono narrati, e che accadono ai protagonisti, non sono una storia ma «quasi» una storia.

Steiner qui ci racconta quello che Pratt non ha scritto, l’autore riempie il tempo indefinito del «nel frattempo...», quelle didascalie che nei fumetti indicano ciò che in quel momento, nell’economia della storia, non si può dire.

In questa «quasi» avventura, un appuntamento quasi impossibile, un vascello naufragato e spiaggiato incontra Corto Maltese.

Chissà se Steiner aveva in mente il saggio di Massimo Donà: «L’uomo leopardianamente inteso sembra davvero la compiuta realizzazione dell’Ulisse dantesco. E quindi può essere da ultimo concepito come cifra di un’umanità irrevocabilmente destinata al naufragio», ma come si sa un lupo di mare riprende il viaggio anche dopo un naufragio, Corto non sfugge a questa regola. Come una versione nuova del verso di Omero «non è aisa che loro si incontrino ma è moira che lui riprenda il viaggio».

Dio e il destino non vanno confusi, al destino è preposta la Moira, (che poi sono tre) una figura con diverse sfumature, moira può essere tradotta con «parte» e la «sorte» è la parte che ci tocca in quanto singoli, il tutto sempre in relazione con le altre sorti, le sorti di altri uomini. È in relazione alla sorte di Achille che Ettore deve morire ora.

In ambito poetico, sempre in relazione al destino, si usa anche il termine aisa, più complesso che può tradursi con «spettanza», «parte» o «parte equa», è un rapporto ontologico tra persona e quanto le è dovuto, ma se la Moira è una personificazione aisa è una qualità, è «ciò che ti è dovuto».

Quando Ermes si reca da Calipso per ordinarle di lasciar partire Odisseo, le rivolge queste parole: «non è aisa che egli muoia in quest’isola lontano dai suoi, ma è moira che lui ritorni da loro, all’alta dimora», e Corto Maltese, con l’episodio della mancanza della linea della fortuna, sempre mi fa pensare a questi versi dell’Odissea, una relazione dinamica tra aisa e moria, tra ciò che gli è dovuto e il limite ultimo. Attraverso un gesto, incidersi da solo la linea della fortuna, si agisce su ciò che è dovuto e si allontana l’inevitabile.

Per questo non sarà mai interessato a sapere cosa dicono le carte di Bocca Dorata, il limite ultimo è fissato ma io con la mia azione lo posso procrastinare, «tu stai sempre in guardia vero Corto?», «tento, Bocca Dorata, tento», così come è ironico verso Vita Lunga, il saggio che gli legge il destino nel Libro dei Mutamenti «la ragazza che va sposa porta sfortuna», «me lo ricorderò».

La sua azione di incidersi la linea della fortuna gli assegna la consapevolezza di poter agire sempre sulla parte (aisa) senza evitare il limite ultimo (moira), «statemi vicino porto fortuna».

In questo appuntamento quasi impossibile, il lettore troverà ciò che non era possibile dire nel «quasi» tempo che intercorre tra un’avventura e un’altra di Corto Maltese, ciò che «quasi» accade tra Corto e Rasputin, tra Corto e Bocca Dorata, tra Marco Steiner e Hugo Pratt.

Corto Maltese e Irene di Boston
Marco Steiner
Cong Edizioni
ISBN: 9788894779608
Cong Edizioni
Pag. 144 - 17,50 €

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