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Lunedì, 29 Aprile 2024

Il test

Fabio Salamida

Giornalista

Il mio primo scooter elettrico esplose ma non tornerei mai a quello a benzina

Era una tiepida mattina primaverile del 2013 ed ero lì, a osservare i resti carbonizzati del mio primo scooter elettrico nella suggestiva cornice di piazza Mazzini, nel quartiere Prati di Roma. Alle prime luci dell’alba, pochi minuti dopo le 6 del mattino (così recitava il verbale della polizia municipale…), il mezzo era andato in fiamme per cause ignote, danneggiando l’asfalto, la colonnina di ricarica del gestore, un povero albero che ancora oggi porta sul suo tronco i segni di quella ferita e l'automobile di grossa cilindrata di un avvocato che aveva casa e studio a pochi metri di distanza.

Del mio povero scooter dal nome impronunciabile (all’epoca i modelli in commercio erano pochi e tutti rigorosamente cinesi) era rimasto solo il telaio, sprofondato in una voragine creata dall’esplosione. Sì perché il mezzo era letteralmente esploso, o meglio, erano esplose le due batterie al litio ospitate nel vano sotto sella. La mia agenzia assicurativa e quella dell’avvocato riuscirono a ricostruire la dinamica dell’incidente: le batterie erano esplose per sovraccarico.

Auto elettriche che prendono fuoco, come stanno davvero le cose

In parole povere, la colonnina aveva continuato a mandare corrente elettrica al trasformatore anche dopo il "pieno", a causa di un malfunzionamento. Il trasformatore, a sua volta, a causa di un altro malfunzionamento, non aveva "staccato" a carica ultimata: una tempesta perfetta. Fortuna volle che in quel momento nessuno era vicino al mezzo, perché l’esplosione avrebbe potuto ferire chi fosse passato anche a dieci metri di distanza. Non si fece male nessuno, ma il fatto mi turbò: potevo essere il proprietario di un mezzo che, in mia assenza e fuori dal mio controllo, era in grado di ferire o addirittura uccidere qualcuno?

La scelta dell’elettrico: un test lungo 11 anni

A convincermi a passare all’elettrico era stato mio padre che già da tempo lo utilizzava. Uomo di calcoli matematici e disturbi ossessivi compulsivi, mi aveva illustrato la sua analisi costi-benefici e io, da uomo di parole, di fronzoli e ideali, avevo affiancato la questione del risparmio economico a quella della sostenibilità. All’inizio fu un disastro. Abituato al mio scooter perennemente in riserva "tanto Roma è piena di benzinai", faticavo a gestire un mezzo che per una ricarica ci metteva dalle tre alle quattro ore con l’alimentatore veloce ed esattamente il doppio con quello lento. Fortunatamente era un modello con batterie estraibili, così salivo sui mezzi pubblici con delle fantastiche "valigette" di plastica e acciaio da 10 kg ciascuna.

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Perché un altro dei problemi di quegli anni era che i mezzi elettrici circolanti si contavano sulla punta delle dita e le colonnine di ricarica erano dei miraggi. Le poche che c’erano venivano spesso occupate da un molesto servizio di car sharing. E in molti casi, trovata la colonnina libera, per raggiungere una carica sufficiente al rientro dovevo aspettare almeno un’ora e mezza. "Come mai con tanti posti carini in cui andare a cena fuori mi porti sempre in questo quartiere di mer*a?" mi chiedeva la mia compagna quando le imponevo soste lontane dai rassicuranti palazzi in stile umbertino e dai villini liberty Roma nord. "Sto con le batterie al 15 per cento, a casa non ci arriviamo…", le rispondevo dirigendomi verso una delle poche piazze in cui la sera si poteva trovare una colonnina di ricarica libera. Altre volte mi arrangiavo: "Posso tenere questa in carica da qualche parte mentre ceniamo?" chiedevo ad allibiti ristoratori che mi concedevano una presa in situazioni disperate.

Il secondo scooter

Dopo la tragica fine del primo scooter, la tentazione fu di lasciar perdere. Fu di nuovo mio padre a consigliarmi di perseverare: mi spiegò, a grandi linee, che ogni innovazione tecnologica porta con sé un margine di errore e qualche rischio calcolato. E tra i rischi calcolati - suppongo - c’era anche la prematura scomparsa di un primogenito a causa dell’improvvisa esplosione di due accumulatori di celle di litio. Per aiutarmi a recuperare in tempi rapidi una mia libertà di movimento, decise di passarmi il suo scooter semi-nuovo. Lui, nel frattempo, era già a uno step successivo e viaggiava su una ruota elettrica. È il mezzo di trasporto che utilizza ancora oggi e porta con sé nei suoi lunghi viaggi in camper in giro per il mondo. Ci sono anziani, nei sobborghi di Istanbul, di Marrakech e di Mola di Bari, che raccontano ai nipoti di questo strano signore che viaggia in equilibrio su una ruota senza mai cadere, ma questa è un'altra storia.

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Più massiccio e con un motore più potente, il secondo scooter è durato molto più del primo. Progettato come mezzo elettrico e non più adattamento di un modello esistente, garantiva prestazioni e autonomia nettamente superiori. La mentalità era già cambiata e raramente facevo scaricare le batterie sotto la soglia di guardia. Anche le colonnine, col passare del tempo, sono aumentate di numero e il molesto car sharing è fallito. 

Perché oggi l'elettrico è la scelta migliore per muoversi in città

Lo scooter elettrico non ha bisogno di manutenzione, non ci sono filtri e cambi olio da fare e il motore è praticamente eterno. Le uniche parti che vanno sostituite per usura sono le gomme e le pasticche dei freni: ma non si devono rompere le batterie e la ruota posteriore, che di fatto è anche il motore del mezzo. Lo scoprii a mie spese incappando in una delle tanti voragini romane che ruppe la ruota posteriore e danneggiò il telaio rendendo la rottamazione unica strada percorribile. Fortunatamente, proprio in quel periodo, partivano dei vantaggiosi eco-incentivi.

Oggi sono al mio terzo scooter elettrico e non tornerei mai a un mezzo a motore endotermico per gli spostamenti in città. Altro discorso vale per le autovetture completamente elettriche, che ancora non hanno - a mio parere - un'autonomia sufficiente e soprattutto hanno dei prezzi che non vengono ammortizzati dai costi. Il costo di una ricarica completa, alla colonnina, è inferiore a un euro per circa 100 chilometri di autonomia (su strade normali e con guida da città, ovviamente diminuisce su strade veloci in modalità di guida sportiva); portando le batterie a casa non si arriva a 50 centesimi. Il prezzo di uno scooter nuovo è simile a quello di uno a benzina, l'assicurazione costa meno e non si paga bollo. Inoltre, i mezzi elettrici possono accedere ovunque, anche nei centri storici delle città. L’esplosione che distrusse il primo, con i sistemi di sicurezza in dotazione ai moderni modelli in circolazione, sarebbe impossibile. Le batterie, pur montando celle al litio prodotte in Cina, sono certificate e assemblate da un colosso tedesco che produce componentistica per tutti i tipi di vetture. Sono garantite dieci anni e hanno una centralina interna con diversi sensori, che controllano costantemente la temperatura, la carica, i cicli e le prestazioni. Lo stesso scooter ha un computer di bordo collegato a una app che monitora tutto, dalla pressione delle gomme alla temperatura delle batterie, dalla posizione gps ai movimenti anomali quando il mezzo è parcheggiato. Ne sanno qualcosa gli studenti adolescenti della scuola sotto casa, che la sera lo utilizzano come appoggio per le loro prime effusioni amorose. È sempre una pena dover scendere per andare interrompere quei loro momenti di intimità mostrando la notifica "movimento anomalo" che mi compare sullo smartphone. "Nun salì su quello che arriva il signore dei movimenti anomali", ha detto una mattina una giovane che non si era accorta della mia presenza al suo fidanzatino che si era seduto sulla sella prima del suono della campanella. Infastidito da quel "signore", le ho detto sorridendo che un tempo le batterie al litio esplodevano all’improvviso, senza avvertire. Da quel giorno non c’è salito più nessuno.

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