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Martedì, 30 Aprile 2024
Revenge porn

La maestra d'asilo infangata per il video hot: "Una cattiveria che mi ha distrutto"

Una maestra d’asilo a Torino era stata prima messa alla gogna e poi costretta a licenziarsi per un video privato inviato al fidanzato di allora e da lui diffuso sulla chat del calcetto. Ieri la vicenda è arrivata in tribunale, e la giovane ha affrontato tutti a testa alta

Si è ritrovata a vivere un incubo solo per colpa della maschinità del ragazzo che frequentava. Una maestra d’asilo a Torino era stata prima messa alla gogna e poi costretta a licenziarsi per un video privato inviato al fidanzato di allora e da lui diffuso sulla chat del calcetto. A quel punto le immagini erano finite sui telefoni delle mamme dei bambini dell’asilo e da loro alla preside, fino a causare il licenziamento.

Torino: la maestra infangata per un caso di revenge porn

L'unico pensiero della direttrice era evitare "lo scandalo", le importava meno di zero che una delle sue maestre fosse stata vittima di un terribile caso di revenge porn. I messaggi che inviava alle altre insegnanti, racconta oggi Irene Famà sulla Stampa, erano del tipo: "Le mamme potrebbero credere che il nostro asilo non sia adatto ai loro figli. Quindi lei se ne deve andare". Non siamo ai tempi dei puritani inglesi nel Nuovo Mondo, ma nella periferia torinese del ventunesimo secolo.

Ieri la storia è approdata in Tribunale, e la maestra, oggi 24 anni, ha affrontato tutto a testa alta. L'ex fidanzato, calciatore dilettante, ha avuto accesso alla messa alla prova e deve scontare una pena di un anno di lavori socialmente utili. Tra gli imputati ci sono un amico dell’ex fidanzato, accusato di aver mandato quei filmati alla moglie; c’è la donna che a sua volta li avrebbe condivisi con altre mamme dell’asilo; e la responsabile della scuola, accusata di violenza privata e di diffamazione.

La maestra ha testimoniato. «Volevo parlare. E non per raccontare la mia verità, ma la verità".

Cosa l’ha fatta soffrire di più? La «cattiveria della direttrice scolastica e delle colleghe», che invece di difenderla nel momento in cui era più fragile, l’hanno sottoposta a un “processo sommario”. Un pomeriggio – così racconta la ragazza – è stata convocata in asilo, al primo piano, ed è stata rimproverata di essere una svergognata, di non avere pudore, di aver “macchiato” l’immagine della scuola: «Sei una poco di buono».

Genitori e insegnanti avrebbero alimentato la spirale di pettegolezzi e dicerie. Secondo la procura, la re- sponsabile dell’asilo avrebbe minacciato la ragazza per indurla a firmare le dimissioni: "Avrà un marchio per tutta la vita e non troverà più lavoro neanche a pulire i cessi in stazione".

La maestra è stata intervistata anche da Sarah Martinenghi su Repubblica: "Non vedevo l’ora arrivasse questo giorno, lo aspettavo da 2 anni. Poter finalmente raccontare quello che ho passato in un’aula di tribunale. Alla fine è uscita fuori la verità" dice la maestra.

"Mi hanno detto che non avrei più trovato un lavoro nemmeno per pulire i cessi della stazione"

La cosa che le ha fatto più male è stata "essere accusata persino di aver messo io in rete le foto. Mi hanno fatta sentire sporca e detto in faccia frasi terribili".

Sul lavoro lei era sempre stata irreprensibile: "Sul mio operato nessuno ha mai avuto nulla da ridire, l’ho sempre fatto nel migliore dei modi. Era la mia vita privata che non andava bene. Ma io non volevo dimettermi".

La direttrice ha convocato una riunione e ha raccontato a tutte le maestre cosa era successo. Nessuno ha preso le sue parti? «Nessuno. Ed è stato proprio questo il dolore più grande: mi hanno detto in faccia “sei una p.." 

Cosa direbbe a chi è nella stessa situazione? "Che non c’è liberazione più bella nel poter raccontare finalmente le cose come sono andate - dice a Repubblica - All’inizio avevo paura". Oggi non più. Lei non ha alcuna colpa, non ne ha mai avuta.

In aula ha guardato negli occhi la direttrice e le ex colleghe? «Si e anche loro mi hanno guardato ma non con lo sguardo di allora, Forse si aspettavano che abbassassi la testa. Ma io ora sono libera».

Fonte: La Repubblica →
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