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Domenica, 28 Aprile 2024
Accoglienza migranti

"La solidarietà produce ricchezza": l'hotel gestito dai rifugiati e la rivoluzione che il governo non vuole

Da anni nei paesi della Val Camonica si è sviluppata una forma di micro-accoglienza diffusa dei migranti che funziona e che ha ricadute economiche positive per tutto il territorio. A Breno da oltre 10 anni è attivo un albergo eco-compatibile gestito da rifugiati: con i profitti realizzati vengono finanziati progetti di solidarietà per tutti i cittadini. Storia di un sistema di accoglienza che sarebbe potuto diventare un modello per tutta Italia, ma che le politiche restrittive del governo gialloverde e di quello Meloni hanno di fatto cancellato

Asif (nome di fantasia) è sbarcato in Italia nel 2010, quando era poco più che minorenne. Scappava da uno dei paesi più instabili del pianeta: il Pakistan. Dopo aver attraversato il Mediterraneo è approdato in un posto molto diverso dall'idea che un ragazzo di 18 anni straniero può avere dell'Italia. Breno, il paese di 4mila anime che lo ha accolto, si trova nel cuore della Val Camonica. Una terra da sogno, immersa nel verde delle Alpi centrali a circa 2 ore di macchina da Brescia. Qui comincia la sua vera vita. Viene accolto dai comuni della zona e in breve trova un lavoro e una casa. Si impegna poi nella realizzazione e nella gestione di un hotel all'avanguardia. Oggi ha 30 anni e anche la sua famiglia lo ha raggiunto. L'anno scorso è diventato a tutti gli effetti cittadino italiano e in paese hanno organizzato una piccola festa per celebrare l'evento. Da anni gestisce, come vicedirettore, uno degli alberghi più innovativi della valle: l'hotel Giardino di Breno.

Un albergo eco-sostenibile gestito da rifugiati 

L'hotel giardino nasce nel 2013 da un'idea della cooperativa sociale Kpax. Ha la caratteristica di essere eco-compatibile grazie a un rigoroso sistema di riciclo, un sistema di ristorazione a chilometro zero, l'uso di prodotti appartenenti alla catena di commercio equo e solidale, l'utilizzo di vernici e materiali bio-compatibili e una grande attenzione al territorio. Ma la sua caratteristica principale è quella di essere portato avanti prevalentemente da rifugiati e di avere ripercussioni positive su tutto il territorio. Un progetto realizzato grazie all'intraprendenza di un gruppo di persone che ha di fatto riscritto le regole dell'accoglienza. 

HOTEL_GIARDINO_FOTO_SOCIAL

"L’idea nasce nel 2011, avevamo bisogno di una sede più grande e c’era questo hotel in dismissione che abbiamo deciso di prendere in affitto - ci spiega Carlo Cominelli, direttore della cooperativa Kpax -  Lo abbiamo risistemato e siccome avevamo delle professionalità che avevamo sviluppato nei nostri progetti di accoglienza, abbiamo deciso di provare a riaprirlo: Le cose devo dire che sono andate molto bene".

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Si, perché riesce a unire la solidarietà al vantaggio economico per tutto il territorio: "L’albergo ci garantisce una buona marginalità con la quale possiamo finanziare altri progetti sociali. È gestito da titolari di protezione internazionale accanto a operatori italiani della nostra comunità - aggiunge Cominelli - Le nazionalità dei lavoratori coinvolti sono variegate: dall’Afghanistan al Pakistan, dal Gambia all'Africa Centrale. La cosa interessante è che grazie a questo sistema finanziamo anche progetti di solidarietà locale, come quello per le vittime di violenza domestica che abbiamo realizzato in passato. L’attività è portata avanti prevalentemente da rifugiati, ma ha di fatto ricadute positive per tutto il territorio”. E l'esperienza dell'hotel non è certo un caso isolato, ma si inserisce in un progetto strutturale che avrebbe potuto fare scuola in tutta Italia. 

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La loro esperienza è diventata un caso e poi un libro, intitolato, non a caso "La Valle accogliente". Nel mezzo della crisi migratoria del 2011 e della fobia per gli sbarchi, undici comuni della Val Camonica, nel bresciano fanno squadra per accogliere oltre 100 persone provenienti dal continente africano. Fuggono da guerre, fame e terrorismo e lo Stato italiano li ha confinati nelle prime strutture disponibili nell'area: "Il progetto dell’accoglienza diffusa nasce ai tempi della crisi migratoria del 2011, quando la prefettura decide di piazzare in tre resort abbandonati di alta montagna centinaia di rifugiati mollandoli di fatto lì. Questa sorta di emergenza ha fatto muovere la macchina della solidarietà" spiega Cominelli. 

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Una situazione di disagio da cui nasce uno degli esempi più riusciti di accoglienza di questi ultimi anni. Uomini e donne vengono accolti nei borghi della valle. I nuclei famigliari vengono sparsi nei territori e viene utilizzato il privato sociale e il terzo settore per puntare sull'integrazione. Alle persone viene dato un alloggio e si cercano di favorire: impegni nel volontariato, stage di lavoro, lavori agricoli o legati all'artigianato. È l'inizio di quella che viene chiamata accoglienza diffusa, modello alternativo a quello dei grandi centri spesso oggetto di tensioni e polemica politica. Si cerca di spostare il problema dell'accoglienza da fenomeno straordinario a ordinario. "È stato il primo esperimento di questo tipo in Italia ed è servito ad accogliere centinaia di persone tra rifugiati e richiedenti asilo e permettergli di integrarsi sul territorio. Un sistema che si è ampliato e diffuso nel 2015 e oggi è a regime. Con i decreti sicurezza e la gestione prefettizia dell’accoglienza però è cambiato tutto" osserva Cominelli. 

VOLONTARIATO_KPAX

Una rivoluzione silenziosa, portata avanti da sindaci coraggiosi, come Paolo Erba, primo cittadino di Malegno, comune di circa 2mila abitanti della valle. Ed è lo stessa Erba a fare un bilancio oggi dolceamaro dell'esperienza."I progetti legati al Sai (il servizio di accoglienza immigrati nazionale ndr)  stanno funzionando bene, perché abbiamo sviluppato una buona rete territoriale anche con la provincia di Brescia, ma non posso nascondere che in questi anni sono cambiate molte cose e non in meglio" ammette Erba. Il riferimento è sicuramente al decreto sicurezza di Salvini del 2018 che ha ristretto l'accoglienza ai soli titolari di protezione internazionale e al progressivo de-finanziamento dei progetti che ci hanno nuovamente proiettato in una logica puramente emergenziale. 

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"La micro-accoglienza diffusa era un tipo di accoglienza alternativa ai Cas (I centri di accoglienza straordinaria ndr) - osserva Erba - Era pensata per evitare le grandi concentrazioni, favorendo da un lato l’integrazione, dall’altro scongiurando le paure legate alla presenza di migranti sul territorio. Mi spiego meglio: è normale che se ho 50 richiedenti asilo che arrivano in un comune molto piccolo ci può essere perplessità da parte dei cittadini. Se queste persone vengono dislocate sul territorio su più comuni l’impatto sarà minore e la loro probabilità di inserirsi all’interno della comunità maggiore". 

Un modello vincente, che aveva ricadute economiche positive sul territorio e che oggi viene messo in crisi innanzitutto dalla carenza di risorse messe in campo, ma non solo. "Con i tagli che sono stati effettuati è davvero critico fare davvero accoglienza - denuncia il sindaco di Malegno - diminuire l'apporto economico e tagliare i servizi fondamentali ha reso difficile andare avanti. Continuiamo a impegnarci in strutture un po' più grandi, ma per realizzare un tipo di accoglienza diffusa sul territorio c'è bisogno di altre disponibilità ed è un peccato perché è un modello che funzionava e che dava anche ricadute economiche positive sul territorio". 

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Gli fa eco il presidente della cooperativa K-pax, che si concentra sugli aspetti formali dei nuovi decreti: "Noi siamo nati per offrire dei servizi e integrare le persone, non c’è più questo interesse e la macchina è disegnata male. Ci obbligano a fare spese assurde e non investire su cose di sostanza, come ad esempio nei servizi alla persona. Abbiamo lasciato in eredità un modello, ma creare una rete secondo i capitolati della prefettura non è più possibile. Non si insegna più l’italiano, non si fa assistenza legale, l’accoglienza è solo un parcheggio ormai". 

KPAX

Eppure si avrebbe tutto l'interesse a percorrere una strada diversa. Soprattutto in un momento in cui il vento sembra soffiare finalmente a favore: "Al Nord l’economia è ripartita se un richiedente asilo avesse i documenti per lavorare noi lo aiuteremmo a trovare lavoro e in molto poco non sarebbe più a carico dello Stato - osserva Cominelli - ma questa cosa si può realizzare solo con processi di accoglienza diffusa e piccoli numeri. I grandi centri sui quali il governo sta puntando non riusciranno mai a realizzare progetti simili e mi chiedo chi ci guadagna",

Ma quello della Val Camonica non è del resto l'unico esempio virtuoso di accoglienza in montagna. Esperienze positive si registravano negli anni scorsi anche in Val Cadore, ad esempio, dove la cooperativa Cadore Scs favoriva l'accoglienza diffusa dei migranti nei paesi spopolati delle dolomiti. Un'esperienza terminata nel 2019 proprio per effetto del decreto sicurezza salviniano che da un lato tagliava i fondi per i richiedenti asilo, dall'altro aboliva servizi essenziali, rimandando tutto a una logica emergenziale. La stessa che ci condanna da anni all'arretratezza. E che ha trasformato un'eccellenza nell'ennesima rivoluzione mancata del nostro Paese. 

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