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Lunedì, 29 Aprile 2024
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Gli stranieri commettono più reati degli italiani? È l'effetto della tolleranza zero

L'effetto paradossale dei decreti sicurezza che hanno ridotto i percorsi di integrazione e di accesso al lavoro

Un'emergenza continua. Da anni il rapporto tra stranieri e tasso di criminalità è uno dei grandi temi di campagna elettorale e comunicazione politica. Uno spauracchio, agitato soprattutto dai social di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che è diventato nel tempo senso comune. Del resto l'evidenza è che, dati 2021 alla mano, la percentuale di stranieri nelle carceri italiane è alta. Non di rado però le evidenze sono fuorvianti, mentre le differenze tra propaganda e realtà diventano nitide quando si prova ad allargare lo sguardo. 

Le retorica dell'invasione

È ormai scontato pensare che, nel tempo, i migranti sbarcati in Italia e gli stranieri presenti nel nostro territorio siano sensibilmente aumentati. Il che è vero, ma sicuramente non per gli ultimi anni, come è facilmente intuibile dal grafico sotto. 

Negli ultimi nove anni il numero degli stranieri in Italia, malgrado l'aumento degli sbarchi, è infatti rimasto stabile. Il salto vero lo si ha dal 2004 al 2014. Dopo quella data il nostro Paese diventa sempre più una meta di transito per persone disposte a spostarsi prevalentemente verso il Nord Europa. Secondo le elaborazioni dell'Ispi (l'Istituto per gli studi di politica internazionale, che ha messo insieme dati Istat e altri della fondazione Ismu) gli stranieri presenti in Italia nel 2023 sono oltre 5 milioni, mentre ammontano a quasi mezzo milione gli irregolari.

E la retorica che vede, all'aumentare della presenza di stranieri un aumento del numero di reati, è smentita dai dati. Secondo il Censis nel decennio che va dal 2012 al 2022 i il numero di denunce in Italia è calato del 25%. Mentre anche i numeri dall'associazione Antigone, sulla popolazione carceraria straniera, ci raccontano una realtà diversa. 

Malgrado sia aumentato il numero di stranieri presenti in Italia negli anni, la percentuale di detenuti di origine straniera è scesa sia in termini percentuali, che in termini relativi. Un fenomeno che smentisce la correlazione diretta tra presenza di extracomunitari e numero di reati commessi.

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Ma è indubbio che la percentuale di detenuti non italiani nelle carceri italiane sia alta. Se gli stranieri costituiscono ormai approssimativamente l'8,5% della popolazione residente in Italia, nelle carceri italiane oltre il 31% dei detenuti proviene da altri Paesi. Una percentuale che sale drammaticamente al Nord: nelle prigioni venete metà della popolazione carceraria è straniera, in Liguria ammonta al 56%, mentre in Lombardia e in Emilia Romagna ci orientiamo su percentuali che superano ampiamente il 45%. È vero quindi che gli stranieri delinquono più degli italiani? Andiamo con ordine. 

Senza residenza, niente benefici 

La prima premessa è che molti si trovano in carcere perché spesso è molto più difficile prevedere per loro pene alternative, perché senza fissa dimora. "Spesso si tratta di reati che prevedono misure alternative, ma molti di loro non accedono alle misure alternative a differenza di molti italiani, perché non hanno un domicilio. Questa è anche una delle ragioni che spiega gli alti numeri di detenuti. Non si è mai pensato a un'alternativa per queste persone anche ai fini del loro reinserimento, questa dinamica tra l'altro fa aumentare il fenomeno del sovraffollamento delle carceri" spiega Gianfranco Schiavone di Asgi, l'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione.

La seconda evidenza è che dire "stranieri" equivale spesso a non dire nulla. Ce lo ricorda un tweet di Matteo Villa, ricercatore Ispi, che ha analizzato la propensione al crimine degli stranieri comparandola a quella degli italiani. ISPI_VILLA

Gli ultimi dati disponibili sono relativi al 2017 e prendono in considerazione il rapporto tra le denunce ricevute e la popolazione di riferimento. La realtà, riassunta nel grafico qui sopra, ci dice questo: gli stranieri irregolari denunciati sono quasi 33 volte in più degli italiani accusati di un reato, ma gli immigrati regolari soltanto 1,5 volte. Come si intuisce, quindi, il problema non si ha con gli stranieri regolarmente residenti, che delinquono di fatto quanto gli italiani, ma bensì con i cosiddetti "migranti irregolari", ovvero quelli privi di permesso di soggiorno nel nostro Paese.  La statistica si riferisce a tutti i reati, e per questo potrebbe anche essere parzialmente viziata dal famoso reato di "immigrazione clandestina", che prevede il divieto di ingresso e soggiorno nel nostro Paese e viene generalmente punito con un'ammenda (che non viene quasi mai riscossa dalle autorità).

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Malgrado sia difficile scorporare i dati, l'evidenza sembra essere valida anche per molti sottoinsiemi di reati specifici, come il furto. In questo caso un irregolare tenderà a essere denunciato circa 17 volte di più di quanto avviene per uno straniero regolare, come conferma l'Ispi, contattato da Today.it. L'evidenza quindi, anche se in parte viziata, è valida: sono gli stranieri irregolari a compiere più reati degli italiani e non tutti gli stranieri genericamente. Questo spiegherebbe perché il numero dei reati e delle incriminazioni sia rimasto stabile nel tempo e in molti casi sia calato, anche all'aumentare del numero degli stranieri presenti in Italia.

Negli anni si sono infatti succedute molte sanatorie che hanno permesso a molti immigrati di uscire dalla condizione di invisibilità e clandestinità. L'ultima è entrata in vigore con il secondo governo di Giuseppe Conte nel 2020, quando sono state regolarizzate circa 200mila persone. Molte di queste regolarizzazioni, così come l'estensione delle maglie della protezione internazionale e la messa in piedi di strutture di integrazione (ad esempio la rete Sprar realizzata con i comuni italiani) hanno permesso a molte persone di ritornare nella legalità e quindi di essere meno inclini a compiere reati per sopravvivere.  

Italiani e stranieri a confronto

Del resto i reati commessi da italiani e stranieri, come ricorda anche l'associazione Antigone non sono certo gli stessi. La maggior parte di quelli per cui sono condannati i detenuti stranieri sono quelli contro il patrimonio (25,7%), contro la persona (22%), e per violazione del testo unico in materia di stupefacenti (18%). Al 31 dicembre 2021 solo 0,7% dei detenuti stranieri era condannato per reati come associazione di stampo mafioso (per cui è previsto il 41bis) contro il 5,7% degli italiani. Quasi la metà di loro era alla prima carcerazione, una percentuale nettamente inferiore se paragonata a quella degli italiani. 

E i dati parlano chiaro: più il reato è grave e la pena inflitta è pesante, più il numero di italiani prevale su quello degli stranieri. La conferma implicita che molti dei reati commessi dai cittadini stranieri (specie se irregolari) sono legati alla microcriminalità (come spaccio o furti), spesso determinati proprio dalla loro condizione di invisibilità e di estrema indigenza. Secondo l'Istat nel 2021, il 36,1% dei nuclei familiari composto da persone di nazionalità straniera versavano in povertà assoluta contro l'8,3% di quelli composti da soli italiani. E a delinquere sono più che altro i giovani.

Il 46% degli stranieri detenuti hanno meno di 34 anni (contro il 23.6% degli italiani). Ragazzi per il quale si potrebbe pensare a percorsi di reinserimento, fedeli al nostro dettato costituzionale. La strada scelta è invece un'altra. Ma quanto ha davvero senso dire: "Rimpatriamoli a casa loro"?

Le soluzioni che non risolvono

Il calcolo lo fa, ancora una volta, l'Ispi con dati del 2022. Per rimpatriare tutti gli stranieri senza permesso di soggiorno presenti nel nostro Paese occorrerebbe più di un secolo: per l'esattezza 122 anni. La retorica dell'allontanamento degli irregolari rischia così di essere pura propaganda, come spiega Gianfranco Schiavone: "Esistono i Cpr, i centri per i rimpatri, dove vengono trattenuti gli irregolari in attesa del provvedimento di espulsione, ma la realtà è diversa: l’anno scorso sono state allontanate appena 2.500 persone su centinaia di migliaia di irregolari. La realtà è che molte di queste persone possono ricevere anche più decreti di espulsione, ma rimangono qui".

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E nello stato di invisibilità prevale l'arte dell'arrangiarsi che sconfina spesso nello sfruttamento e nell'illegalità: "Agricoltura, logistica, cura della persona e settore alberghiero: sono questi i settori dove molti irregolari vengono sfruttati - spiega Schiavone - del resto per loro l'unica discriminante è la sopravvivenza, non esistono contratti nazionali, ferie, malattia o altro". In questo contesto altri scelgono l'illegalità, prevalentemente con attività di microcriminalità, come abbiamo visto dai dati forniti da Antigone. Una situazione paradossalmente esacerbata dai decreti sicurezza del governo Salvini e dalle ulteriori restrizioni messe in campo dal governo Meloni. 

In particolare da anni si restringono le maglie della protezione, della formazione e dell'integrazione. Il risultato è che invece di produrre sicurezza si va a produrre ulteriore caos e rischio criminalità. "In Italia invece di abbassare la percentuale di irregolari la si alza continuamente - commenta Schiavone - si può essere 'irregolari' per molti motivi, per esempio perché non si è ottenuto il permesso di soggiorno, ma anche perché si è perso il lavoro. Ma questo non è rilevante, la cosa davvero rilevante è che non c'è nessuna politica strutturale per permettere a queste persone di uscire da questa condizione, al di là delle sanatorie".

La fabbrica degli invisibili: perché non siamo pronti alla nuova ondata di sbarchi

Eppure non è stato sempre così e si è provato a sperimentare strade diverse, come osserva Schiavone: "Avevamo sperimentato un’ottima nuova strada che era quella della protezione speciale del 2020 (che ristabilisce in parte quella "umanitaria" abolita dal primo governo Conte del 2018, ndr) che prevedeva espressamente di riconoscere lo status di rifugiato anche a chi non aveva gli standard per richiedere la protezione internazionale. Stabilizzava la vita di molte persone che potevano così avere un lavoro e inserirsi in una comunità. Questa misura è stata oggetto di attacchi violenti da parte della propaganda di governo con l’Italia dipinta come un colabrodo. In realtà era solo un tentativo che si stava mettendo in piedi per assorbire le molte persone dall’illegalità". Il risultato? "La protezione speciale esiste formalmente ancora, ma c'è un orientamento giuridico volto a riconoscerne il meno possibile" conclude Schiavone. 

Parallelamente sia il decreto sicurezza di Salvini del 2018, che i provvedimenti del governo Meloni dello scorso marzo 2023, hanno ridimensionato fortemente le maglie dell'integrazione. Il cosiddetto decreto Cutro ha eliminato dai centri governativi di accoglienza i servizi di assistenza psicologica, i corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio, che rimangono ad appannaggio dei soli titolari di protezione internazionale. Oltre all’accoglienza materiale, dunque, rimangono attivi solo l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e la mediazione linguistico-culturale. L'accoglienza, prevalentemente straordinaria, assomiglia sempre più a una forma di parcheggio per disperati, mentre la mancata integrazione predispone molti migranti allo sfruttamento e alla microcriminalità. Con un paradosso: le politiche securitarie e di tolleranza zero verso la clandestinità rischiano di creare, dati alla mano, più disagio e più insicurezza sociale. Per tutti. 

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