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Sabato, 27 Aprile 2024
La scheda

Famiglia tradizionale e radici cristiane: la 'visione benedettina' dei Conservatori europei

La destra dell'Ecr aggiorna la sua carta dei valori, mentre è in febbrile movimento il cantiere delle alleanze per provare a conquistare fette maggiori dell'emiciclo di Strasburgo dopo il voto di giugno

Stop alla 'ideologia gender', protezione della famiglia tradizionale e preservazione delle radici giudaico-cristiane del Vecchio continente: ecco i principali ingredienti della ricetta dei Conservatori e riformisti europei dell'Ecr per le elezioni del prossimo giugno. Senza dimenticare il sostegno all'Ucraina e, naturalmente, il contrasto all'immigrazione irregolare.

La Carta benedettina

Non c'è grande fantasia nei manifesti elettorali dei partiti europei per il voto del 2024: tutti stanno giocando sul sicuro con cavalli da battaglia ben rodati la cui attualità non è assolutamente in discussione. Così, quando anche l'Ecr ha adottato la propria carta dei valori a Subiaco lo scorso 21 marzo, non c'erano grandi novità. La stessa scelta della location era altamente simbolica: nel comune laziale al confine con l'Umbria, nel VI secolo, San Benedetto da Norcia fondò la sua abbazia ed è proprio alla "visione benedettina" e ai valori della tradizione giudaico-cristiana che si ispirano esplicitamente i conservatori, come sottolineato dal co-capogruppo a Strasburgo Nicola Procaccini. 

Non si tratta propriamente del manifesto elettorale, che l'Ecr approverà formalmente il prossimo 17 aprile durante l'evento di lancio della campagna per le europee in programma a Bruxelles. Ma il documento delinea già chiaramente gli orientamenti per così dire culturali dei conservatori, attraverso un elenco di 12 priorità tra cui spiccano il rifiuto del "pensiero unico e del relativismo etico" imputate a un'oscura "agenda globalista", cui contrapporre la centralità "della fede e della moralità". Ci sono poi la difesa della famiglia tradizionale, che passa attraverso interventi a sostegno della natalità, e la proposta di un approccio più "pragmatico" alle politiche ambientali, per salvaguardare l'occupazione e le capacità industriali europee. Infine, i conservatori ribadiscono la loro posizione sulla direzione che dovrebbe prendere l'integrazione europea: non quella di un super-Stato federale, ma piuttosto una confederazione di nazioni sovrane, in cui a Bruxelles viene delegato un numero limitato di competenze specifiche e gli Stati membri mantengono per sé la maggior parte delle loro prerogative. 

Nicola Procaccini, co-capogruppo dell'Ecr a Strasburgo, ad un evento a Roma il 15 marzo 2024 – foto AP/LaPresse-2

Alleanza di destra?

Come ammesso dallo stesso Procaccini, il programma dell'Ecr è molto vicino, in diversi punti, a quello del Ppe, il partito della presidente della Commissione Ursula von der Leyen. L'eurodeputato di Fratelli d'Italia si è detto soddisfatto del progressivo riposizionamento dei Popolari, che si stanno spostando con sempre più decisione verso destra sotto la leadership di Manfred Weber, allentando la tradizionale alleanza con i Socialisti e flirtando con pezzi del gruppo conservatore, in primis la delegazione di Giorgia Meloni (che è presidente dell'Ecr dal 2020). "Crediamo che tutti insieme possiamo rimuovere alcuni errori dal Green deal, e insieme possiamo avere una transizione ecologica più equilibrata", ha dichiarato Procaccini da Subiaco, sottolineando la vicinanza delle due formazioni politiche sia sulle politiche ambientali quanto su altri dossier centrali, come l'aumento delle spese per la difesa e la gestione dei flussi migratori. 

Del resto, è proprio sul tema delle migrazioni che si misura il peso sempre crescente esercitato dalla premier italiana in Europa (forse più ancora che sul ridimensionamento delle ambizioni del Green deal), con Meloni al fianco di von der Leyen durante la stipula dei memorandum con la Tunisia e l'Egitto, dopo che la stessa presidente della Commissione ha citato l'accordo tra Roma e Tirana (con tanto di centri di detenzione) come un "modello" per la politica migratoria dell'Ue. Sono insomma lontani i tempi in cui l'establishment europeo vedeva con sospetto una leader che veniva considerata da più parti come "l'erede del fascismo". A conferma dell'avvenuta integrazione di Meloni nei circoli del potere, ci sono i contatti personali tra le due donne più in vista della destra europea che si sono moltiplicati negli ultimi mesi: oltre ai bilaterali ai margini di molti vertici e summit, il capo dell'esecutivo comunitario si è recata nel Belpaese ben tre volte nel giro di un anno e mezzo, incluso a Lampedusa, destinazione prediletta delle rotte migratorie attraverso il Mediterraneo centrale. 

Ma Procaccini ha risposto picche alla charme offensive di von der Leyen per far cambiare casacca agli eurodeputati di FdI e inglobarli nel Ppe (una prospettiva vista di buon occhio anche dalle parti di Forza Italia), visto che i meloniani sono la forza trainante dell'Ecr ora che i polacchi del PiS hanno subito una battuta d'arresto in patria dopo la vittoria di Donald Tusk (il quale, peraltro, è membro proprio dei Popolari). In ogni caso, le piattaforme politiche dei due gruppi non sono esattamente sovrapponibili: le distanze si misurano, ad esempio, su questioni come i diritti civili, con la crociata tradizionalista (qualcuno direbbe oscurantista) dei conservatori contro "l'ideologia gender" che è estranea al dna di molte formazioni moderate all'interno del Ppe, o sulla direzione da dare alla costruzione europea, con i Popolari generalmente sostenitori di una maggiore integrazione e i conservatori che si presentano come gli alfieri di una minore "sudditanza" delle capitali europee all'eurocrazia brussellese. 

Il derby di Strasburgo

Ma un buon numero di incompatibilità si registrano anche con i sovranisti del gruppo Identità e democrazia (Id), dove siedono i leghisti del vicepremier italiano Matteo Salvini insieme ai francesi del Rassemblement national di Marine Le Pen e l'ultradestra tedesca di AfD. I sondaggi proiettano le due formazioni della destra radicale europea in un testa a testa per il terzo posto a Strasburgo da scippare ai liberali di Renew Europe, che sono invece dati in caduta libera verso la quarta o addirittura quinta posizione in termini di eurodeputati. A dividere l'Ecr dall'Id c'è ad esempio il supporto per la ricandidatura di von der Leyen, che Le Pen ha recentemente criticato a Meloni. Soprattutto, però, c'è la posizione nei confronti della Russia di Vladimir Putin e della sua guerra di aggressione in Ucraina: diversi conservatori si sono distinti tra i più intransigenti atlantisti, mentre molte formazioni sovraniste faticano a condannare il leader del Cremlino. 

Viktor Orbán e Giorgia Meloni al Consiglio europeo a Bruxelles, 21 marzo 2024 – foto AP/LaPresse-2

E c'è proprio questo punto all'origine del temporaneo congelamento dei negoziati per aprire le porte del gruppo dei conservatori alla pattuglia di eurodeputati di Fidesz, il partito del premier ungherese Viktor Orbán, che dal 2021 sono fuoriusciti dal Ppe e sono finiti tra i non-iscritti. Tra i favorevoli all'ingresso ci sono i meloniani italiani, i neo-franchisti spagnoli di Vox e i polacchi di Mateusz Moriawecki, l'ex-primo ministro polacco che ha fatto a lungo comunella con l'uomo forte di Budapest in una serie infinita di scontri frontali con Bruxelles sullo Stato di diritto, le libertà civili e i diritti della comunità Lgbtq+. Ma Orbán è ancora una figura troppo indigesta per diverse delegazioni conservatrici (tra cui quelle svedese, ceca e olandese), che hanno già minacciato di abbandonare il gruppo se l'Ecr dovesse accogliere il leader magiaro. C'è chi dice che l'ingresso alla fine ci sarà: magari dopo le elezioni, ma i transfughi di Fidesz ad un certo punto entreranno nella famiglia di Meloni.

Per ora, di ingresso nella famiglia conservatrice ce n'è stato un altro: quello del nuovo (si fa per dire) volto dell'estrema destra francese Éric Zemmour, che sta cercando uno spazio elettorale tra i delusi del nuovo corso "moderato" di Le Pen. Per quanto piccolo (Reconquête, il partito nato come costola del Rassemblement lepenista, ha un solo europarlamentare), è pur sempre un inizio. Ad ogni modo, con il capitale politico che sta continuando a costruirsi da due anni a questa parte, ci sono pochi dubbi che dopo le europee di giugno la premier italiana assurgerà a punto di riferimento dell'intero spazio alla destra del Ppe, instaurando un dialogo ancora più stretto con la (probabile) Commissione von der Leyen bis. Con buona pace di Salvini e Le Pen e, se l'opportunità politica non sarà sufficientemente ghiotta, anche di Orbán. 

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