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Venerdì, 26 Aprile 2024
Storie

"Vi racconto chi sono i migranti": la storia di Ahmad

Si chiama Ahmad Al Rousan e lavora come mediatore culturale per Medici senza frontiere. Ogni giorno incontra chi fugge dalla guerra e dalla fame e conosce le loro storie: "Dovremmo farlo tutti così capiremmo che non sono dei numeri"

"Dico sempre di essere un italiano di origine giordana" così risponde Ahmad Al Rousan quando gli si chiede da dove viene. In effetti è proprio così: il suo passaporto è italiano, le sue origini giordane e quando parla quasi non si sente il suo accento. Da tanti anni vive in Italia e da poco però ha deciso di iniziare a fare un lavoro difficile e impegnativo, dal punto di vista professionale ed emotivo. Lui è uno dei mediatori culturali di Medici senza frontiere, mestiere strettamente legato al dramma che i migranti stanno vivendo. Da quando ha iniziato, quattro anni fa, ne ha incontrati tanti e conosce i lori nomi, le loro storie e i loro vissuti. Per lui non esistono distinzioni: profughi, migranti economici, sopravvissuti, naufraghi. Sono tutte persone con esperienze di vita incredibili.  

Che significa essere mediatore culturale e come il tuo lavoro è cambiato negli ultimi mesi?

"C'è stato un grosso cambiamento, legato agli sconvolgimenti internazionali in Medio oriente, in particolare in Iraq, siria e Libia. In realtà questo cambiamento è in atto dalla fine del 2013, ovvero da quando è aumentato l'afflusso dalla Siria. Non è solo una questione di numeri e di provenienze ma anche di esigenze: le persone che hanno alle loro spalle esperienze di estrema violenza, psicologica e fisica, in particolare se sono donne"

Dove si è svolto il tuo lavoro negli ultimi mesi?

"Quest'anno è stato intenso: ho lavorato sulla nave di Medici senza frontiere, sono stato a Roma al centro Baobab e a Ventimiglia. Infine sono stato anche in Tunisia, dove abbiamo fatto formazione ai pescatori che sempre più spesso sulle loro rotte incontrano il dramma dei migranti. Più che una formazione è stata uno scambio di esperienze: sono persone davvero straordinarie, che non hanno mai pensato di tirarsi indietro quando incontravano qualcuno in difficoltà nelle loro battute di pesca. E' stata un'esperienza umana intensa e sono rimasto molto colpito: loro continuano a soccorrere anche se fino a poco tempo fa questo non implicava per loro una perdita economica, ma anche un rischio personale, visto che non erano ben visti e spesso venivano ostacolati". 

Cosa significa lavorare una barca che aspetta di soccorrere i migranti nel Mediterraneo? Come era la tua "giornata tipo"?

"Siamo sempre stati in una zona non lontana dalle acque libiche. Di solito si aspettano indicazioni rispetto alle posizioni delle navi che hanno bisogno di aiuto. Quando raggiungiamo le navi e le avvistiamo per prima cosa prendo il megafono, visto che personalmente sono la persona che per prima comunica con i naufraghi. Cerco di tranquillizzarli, spiego che siamo lì per aiutarli e quello che cosa succederà di lì a poco. A volte però le persone cominciano ad agitarsi, si spostano tutte sul lato della nave più vicina al soccorso e questo spesso causa il ribaltamento. Le manovre di avvicinamento sono molto delicate e spesso richiedono tempo. Spesso ci sono anche delle persone nella stiva: a volte non ce la fanno e muoiono per soffocamento, afissiati dal fumo dei motori della nave. Così cerchiamo di capire subito se qualcuno sa quante persone ci sono nella stiva e come potrebbero stare". 

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La nave di Medici senza frontiere

Il tuo lavoro ti ha portato a conoscere i naufraghi da vicino. Chi sono queste persone e cosa ti hanno raccontato?

"Quello che mi ha stupito è che ci sono tanti minori non accompagnati tra i naufraghi. Loro hanno davvero una grande forza ed entrare in contatto con una generazione così mi ha arricchito moltissimo. Sono persone portatrici di esperienze incredibili e hanno una grande energia: la nostra società dovrebbe incontrare queste persone, ascoltare le loro storie. Inoltre sono sempre più convinto che queste persone siano una vera e propria risorsa: hanno un'energia incredibile, nonostante i traumi subiti. Hanno una grande voglia di rialzarsi, di costruirsi una vita nuova. Penso che se loro incontrassero i nostri giovani lo scambio di esperienze sarebbe più che positivo. Insomma sono tutte persone da incontrare: io che l'ho fatto mi sento privilegiato"

Cosa pensi della distinzione che spesso in Europa viene fatta tra migranti economici e profughi?

"Credo che fare questa distinzione sia davvero difficile perché bisognerebbe comprendere le esperienze individuali di ogni persona. Cercare di fare questa distinzione solo in base al paese di provenienza non è sufficiente: abbiamo a che fare con dei paesi in cui magari non ci sono guerre ma dittatori feroci e chiunque potrebbe potenzialmente essere vittima di persecuzioni, per i motivi più disparati. Classificarli in questo modo significa inevitabilmente cadere nell'errore, soprattutto se viene fatto in maniera superficiale: si dimenticano e si trascurano gli aspetti importanti di queste persone"

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Ahmad a lavoro

A maggio è stata lanciata la campagna stampa "Milioni di Passi", volta ad attirare l'attenzione sui temi della migrazione in tempi non sospetti, quando l'opinione pubblica non aveva ancora metabolizzato gli eventi. Lo scopo è quello far capire all'opinione pubblica che i migranti stanno scappando in massa da paesi in stato di emergenza e spiegare ciò che si può fare insieme a noi e ad altre organizzazioni umanitarie. Pensi che l'atteggiamento della società civile in Italia sia cambiato nei confronti dei migranti?

"Secondo me ultimamente sì, anche se non si può generalizzare. Con Medici senza frontiere abbiamo un progetto di primo soccorso psicologico presso il centro Baobab di Roma. Qui i cittadini della capitale hanno fatto raccolte di generi alimentari, di vestiti, si sono impegnati da volontari. Dare una mano in questi progetti e a queste persone è significativo. Purtroppo però c'è una strumentalizzazione politica del fenomeno: spesso queste persone vengono considerate solo dei numeri. Ma in realtà dietro ogni viso ci sono storie ed esperienze incredibili e una forza davvero inaspettata"

Ci fai un esempio?

"Un po' di tempo fa avevo incontrato un giovane ragazzo eritreo. Lui continuava a chiederci informazioni su dove studiare, come trovare lavoro, consigli su dove tutto ciò per lui sarebbe risultato più semplice. Era instancabile nonostante quel lungo viaggio che aveva affrontato dal Corno D'Africa, il carcere in Libia e la traversa drammatica in mare. Ero davvero colpito dalla sua energia e dalla sua voglia di vivere nonostante quello che aveva già vissuto"

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