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Sabato, 27 Aprile 2024

Punti di vista

Giovanni Pizzocolo

Giornalista Brescia

La sinistra pacifista dovrebbe quasi tifare Trump (ma sarebbe un grosso errore)

Dunque, le prossime elezioni a stelle e strisce saranno un remake di quelle del 2020 (giudici permettendo). Il "Super Tuesday" delle primarie Usa, con il voto in 15 stati, ha pronunciato il più prevedibile dei verdetti: a sfidarsi saranno ancora Joe Biden e Donald Trump. Da una parte avremo un gaffeur di 81 anni, dall'altra un 77enne evasore fiscale, che ha fatto della dissennatezza il suo marchio di fabbrica. Indipendente da come voteranno gli elettori, sarà una scelta sbagliata perché inadatti sono i candidati a guidare – in un mondo ormai sull'orlo del baratro bellico – il decadente impero dello zio Tom. Come dichiarato alla BBC da Cornel West, filosofo e attivista nero, nonché improbabile candidato alla presidenza per il People's Party, "il 5 novembre la scelta sarà tra la terza guerra mondiale e la seconda guerra civile". Una provocazione? Forse sì, ma non troppo. Più realisticamente, i due scenari prospettati non avranno confini così marcati. 

Il paradosso della sinistra

C'è comunque del vero nelle parole di West. Finanziamento incondizionato dell'esercito ucraino senza alcun scenario di pace (con la Nato ormai spinta ai confini russi), la destabilizzazione del Medio Oriente con i continui veti contro il cessate il fuoco a Gaza e il sostegno militare alla guerra genocida di Israele, interventismo in Yemen e nel Mar Rosso, la visita di Nancy Pelosi a Taiwan: l'amministrazione Biden sta facendo di tutto per far salire la tensione a livello internazionale, mentre Trump ha più volte dichiarato che, se verrà eletto, fermerà i miliardi di aiuti (soprattutto militari) destinati alle truppe di Zelensky e cercherà subito un accordo con Putin. Inoltre, si è detto pronto ad abbandonare a se stessi i paesi Nato che non pagano la difesa militare (sarebbe un indebolimento per l'alleanza atlantica). Potrebbe essere la solita spregiudicatezza da campagna elettorale, ma, nelle sue parole, c'è tanto di quell'America First che – per gran parte dei suoi sostenitori – è la linea politica estera a cui bisogna ambire, ovvero quella dell'isolazionismo. Nulla di nuovo, ci sono già importanti precedenti nella storia americana, a partire da Woodrow Wilson nella prima metà del '900. Paradossalmente, la sinistra mondiale pacifista farebbe meglio a tifare per l'odiato "The Donald", ma sarebbe comunque un errore: quando gli Stati Uniti hanno deciso di isolarsi è stato – funesto presagio – sempre in prossimità o durante una guerra mondiale. 

La guerra civile

Per quanto riguarda "la seconda guerra civile", il riferimento di Cornel West è quanto mai chiaro. Sono ancora nella memoria di tutti le immagini dell'assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, con il tentativo d'insurrezione a Washington dei "trumpiani" più invasati per contestare il risultato delle elezioni. Gran parte delle campagna di Joe Biden cavalca proprio questo tetro fantasma: un anziano signore convinto che Orban sia il presidente della Turchia, e che confonde Macron con Mitterrand, non ha molto di più da offrire se non la paura per il pericolo democratico; e Trump lo rappresenta a tutti gli effetti, ne ha già dato prova in passato. Nei quattro procedimenti penali attualmente aperti a suo carico, c'è, infatti, quello per le gravi accuse di cospirazione e incitamento all'insurrezione.

La contesa per la Casa Bianca dovrà dunque tener conto di un terzo incomodo: i giudici (sembra davvero di essere tornati ai tempi di Berlusconi, ma senza quel retrogusto da repubblica delle banane). Alla vigilia del "Super Tuesday", la Corte Suprema ha lanciato un primo salvagente a Trump, decidendo che non può essere escluso dalla corsa elettorale tramite il XIV emendamento, che vieta agli insorti contro il governo di coprire uffici pubblici; non sono però entrati nel merito del presunto tentativo di golpe. Il 22 aprile prossimo, invece, la Corte dovrà esprimersi sulla richiesta d'immunità avanzata dal tycoon newyorkese, sempre per proteggersi dalle accuse per i fatti di Capitol Hill: i suoi legali sostengono che, in quanto all'epoca godeva dell'immunità presidenziale, non può essere processato per dei presunti reati commessi quando ancora sedeva con pieni poteri alla Casa Bianca. Sembra una scherzo, ma sono gli Stati Uniti d'America e – considerando che nella Corte ci sono sei giudici conservatori e tre democratici – potrebbe persino farla franca con una ridicola interpretazione da azzeccagarbugli. Nella peggiore delle ipotesi, invece, potrebbe essere eletto un presidente con un processo in corso per cospirazione contro la sua stessa nazione. Un'eventuale condanna entro quest'anno, infatti, sembra quasi impossibile.

La corsa di Trump contro il suo passato

Nonostante sia odiato dall'elettorato femminile, i politologi americani danno molto più che probabile la vittoria di Trump. Persino un osservatore bilanciato e attento come Lucio Caracciolo è convinto della vittoria del candidato repubblicano, perché Biden è visto come un leader in forte declino che – a suo dire – sta facendo l'errore strategico di delegittimare l'avversario. Le debolezze dovute all'età sono inoltre diventate fonte di imbarazzo. Non solo: si è inimicato l'elettorato musulmano con lo sconsiderato sostegno a Israele. I vergognosi aiuti fatti piovere dal cielo, sopra le teste di un popolo massacrato e portato sull'orlo della carestia, sembrano tanto una mossa elettorale interna per rifarsi un'immagine, dopo i tre veti alle Nazioni Unite sulle risoluzioni per l'immediato cessate il fuoco umanitario; le telecamere erano ben posizionate negli aerei cargo, ma in pochi ci cascheranno. Nonostante i sondaggi favorevoli e il supporto dei tanti media conservatori, la strada che porta al remake trumpiano resta comunque incerta e piena di ostacoli, più giudiziari che politici. Ma una cosa è certa: "The Donald" non è in corsa contro Joe Biden, ma contro il suo passato.

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