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Domenica, 28 Aprile 2024
Politica

Il piano del premier: sfiducia o dimissioni e Conte-Ter

Mercoledì 27 gennaio il governo rischia di andare sotto in Senato sulla relazione di Bonafede. Ma il presidente del Consiglio accarezza l'idea di una salita al Colle il giorno prima e di un reincarico che porterebbe al suo terzo esecutivo. Ma intanto Mastella suggerisce di sbattere fuori dalla maggioranza i grillini. E i conti ancora non tornano

Un Conte-Ter con dimissioni. Che porti Giuseppe Conte all'allargamento della maggioranza ai Responsabili prima del voto previsto in Senato sulla relazione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che metterebbe a nudo, pur senza che questo comporti ufficialmente una sfiducia, l'assenza dei voti necessari a tenere in piedi il governo a Palazzo Madama. Ma il tempo stringe e a Palazzo Chigi contano le ore necessarie a mettere in atto il piano: sono 72. Mentre 156 è il numero da superare per convincere il Quirinale che il governo è in grado di mettere insieme una maggioranza assoluta e a reggere nei prossimi mesi. 

Il piano del premier: dimissioni e Conte-Ter

Le alternative sul tavolo sono due: mettere in atto una crisi pilotata che porti in rapida sequenza alle dimissioni del presidente del Consiglio, al suo reincarico da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e, poi, dopo le consuete trattative con le forze della maggioranza, il varo di un nuovo governo che porti a casa la maggioranza sia alla Camera - dove i numeri regalano tranquillità - che al Senato. Altrimenti Conte può provare ad andare a vedere le carte in Aula mercoledì 27 gennaio per verificare che quello dei renziani, ma anche di qualche Responsabile che nel frattempo si sta innervosendo, non sia un bluff. Ma per ora i conti di Conte non tornano: il pallottoliere virtuale segna 154 voti per i giallorossi (contando Mariarosaria Rossi), 156 alle opposizioni con Italia Viva. Questi numeri rappresenterebbero una sfiducia politica virtuale. Ma c'è un altro dato di fatto che va considerato in questa crisi al buio strisciante: lo stallo messicano a cui sono costretti l'Avvocato, Matteo Renzi e tutti gli altri prevede che la prima mossa scateni una serie di colpi che nessuno potrà prevedere. 

Renzi infatti ieri è tornato ad aprire alla maggioranza chiedendo di sedersi attorno a un tavolo per ricomporre lo strappo e ha ricevuto una porta in faccia dal MoVimento 5 Stelle e anche da Palazzo Chigi. Perché in molti all'interno della maggioranza ritengono che il senatore di Scandicci sia in qualche modo costretto a queste aperture perché all'interno dei suoi gruppi, soprattutto al Senato, ci siano molti pronti ad abbandonare Italia Viva nel momento in cui questa dovesse schierarsi nettamente all'opposizione. È quello che ha detto pubblicamente il senatore Eugenio Comincini, ma è anche quello che pensano altri tre o quattro a Palazzo Madama: non hanno intenzione di seguire Renzi fino alla fine e si sfileranno un attimo prima per votare con la maggioranza se il leader di Rignano dovesse proseguire attraverso il sentiero stretto della guerra a Conte. 

Dall'altra parte del ring ci sono i Costruttori Responsabili. Che già ieri hanno cominciato a dare segnali chiari di nervosismo per bocca del loro leader virtuale, quel Clemente Mastella che ha fatto sapere che la moglie Sandra Lonardo non vuole votare la relazione del ministro della Giustizia: "A lei non piace l'idea della giustizia di Bonafede, giustizialista fino alle estreme conseguenze. Se potrebbe votare no alla relazione del ministro? Non lo so, non vota contro, ma insomma a favore non lo so, è tutto da valutare. Non le piace questo disfattismo giudiziario". Il segnale che arriva da Ceppaloni è chiaro e l'obiettivo di quello che è stato felicemente chiamato il Lodo Mastella è chiaro: "Bisogna guardare all'esperienza di De Luca in Campania e a quella di Emiliano in Puglia, i quali hanno vinto le elezioni anche senza i Cinque stelle, perché hanno recuperato persone come me e tanti altri, quando invece le logiche dei partiti tradizionali sconfessavano questo tipo di operazioni, ritenendole eretiche, poco dignitose...I puristi, mossi dallo spirito della sinistra, le considerano operazioni di poca nobiltà...''. 

Governo Conte: cinque giorni per non morire

Ovviamente Mastella sa benissimo che il suo piano è un Vaste Programme, come direbbe Charles De Gaulle: numeri alla mano, è impossibile varare un governo in questa legislatura senza il MoVimento 5 Stelle e con Conte premier. Ma il gioco della politica prevede sempre che si punti al rialzo cercando di ottenere il minimo, sperando che nessuno venga a vedere il bluff. In questo caso però non è soltanto il sindaco di Benevento a rischiare di ritrovarsi senza niente in mano. Perché dall'altra parte del tavolo sui numeri è stallo. Mentre la senatrice Mariarosaria Rossi, dopo aver votato la fiducia al governo, ieri ha incontrato il premier a Palazzo Chigi e ha denunciato di aver ricevuto numerose minacce sui social network, l'impressione è che Conte sia finito in un vicolo cieco. Dopo le due adesioni "virtuali" che hanno portato il numero dei suoi voti al Senato a 158 il numero non cresce più. O meglio: si registrano tante aperture ma nessuno si sente pronto a chiudere gli accordi, forse perché ancora non gli è stato promesso nulla in cambio. 

Repubblica racconta oggi in un retroscena che i nomi di quelli in bilico sono tanti: i renziani Comincini, Grimani, Marino, Sbrollini; Luigi Vitali di Forza Italia, mentre altri segnali arrivano dai parlamentari di Mara Carfagna e dai totiani, che tentano il premier chiedendogli di dimettersi per sostenere un suo “ter”. Poi l'Udc di Saccone e Binetti. E tanti altri che potrebbero dare un senso a questa legislatura nel frattempo passata all'opposizione, dove notoriamente la notte è più buia e fredda. Mentre il governo è un falò a cui scaldarsi. Ma il problema è la questione politica. Che come sempre in queste situazioni assume toni surreali. Secondo l'agenzia di stampa Ansa un nuovo governo, anche guidato Conte ma senza Alfonso Bonafede a Via Arenula e sostenitore di una chiara svolta garantista sarebbe la condizione posta da una pattuglia di senatori potenziali "volenterosi" di FI - alcuni parlano di 7, altri di 13-15 - per confluire in un nuovo gruppo che appoggi l'esecutivo. All'interno del gruppo di Forza Italia in tanti non sarebbero disponibili a giocare un ruolo di comprimari in un centrodestra a trazione sovranista.

A quel punto, la difesa del garantismo, un tema tradizionalmente caro a Silvio Berlusconi, renderebbe meno traumatica una scissione. L'operazione, secondo alcun voci insistenti, vedrebbe il coinvolgimento dell'attuale vice Presidente della Camera Mara Carfagna, anche se il suo staff smentisce seccamente. Fonti autorevoli vicine a Berlusconi non escludono che possa esistere questa suggestione ma ironizzano sull'idea che alcuni azzurri possano governare con i loro nemici storici: "Sarà come dei donatori di sangue che si sposano con Dracula". Ma sul piatto Palazzo Chigi ha messo due punti dirimenti per FI: il proporzionale e la possibilità di eleggere "assieme" il successore di Sergio Mattarella. Come si possa soltanto lontanamente pensare di sostenere questa svolta facendo le scarpe a un leader del M5s senza che il partito abbandoni la maggioranza di governo è un mistero che soltanto un retroscenista potrebbe spiegare. 

Le elezioni soluzione sempre più probabili

E mentre un sondaggio di Euromedia Research pubblicato oggi da La Stampa dice che un partito del premier avrebbe il 10% dei consensi, ma pescando a piene mani dai voti di MoVimento e Pd in quello che rischierebbe di essere un gioco a somma zero, la consueta rilevazione di Nando Pagnoncelli pubblicata il sabato sul Corriere della Sera sostiene che solo un italiano su cinque vuole le urne e il 42% non capisce nemmeno le motivazioni della crisi in atto. Forse proprio per questo lo scenario delle elezioni diventa sempre più probabile. A dispetto del fatto che il Corriere concede anche uno spazio all'intervento del suo editore Urbano Cairo ("Non era il momento della crisi, serve stabilità"). 

Le alternative d'altronde si assottigliano ogni giorno di più. Tanto che tra i grillini comincia ad avvertirsi qualche nervosismo anche nei confronti del premier che rischia di portarli alle elezioni (e al significativo dimagrimento della loro truppa di eletti) se non trova una soluzione alla crisi e nel Pd, racconta ancora il Corriere, è pronto un piano B: 

Detto alla maniera di un autorevole esponente del Partito democratico: «Si tratta di far decantare la situazione per qualche settimana, dopodiché sia Matteo che Conte, dovranno rimangiarsi parte di quello che hanno detto e provare la strada dell’accordo». Del resto, parrebbe proprio che lo stesso Renzi sia accarezzando l’idea di un simile piano B. Si spiegherebbero così anche i suoi reiterati appelli al confronto con gli ex alleati.

Da questo punto di vista la cartina di tornasole potrebbe essere la votazione di mercoledì sulla relazione del Guardasigilli Alfonso Bonafede. Se Italia viva si astenesse invece di votare contro vorrebbe dire che dietro le quinte è ripresa la trattativa.

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