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Lunedì, 29 Aprile 2024

Roberta Marchetti

Giornalista

Con Amadeus Sanremo è di nuovo Sanremo. Ed era ora

Negli ultimi vent'anni almeno, c'è chi ha chiesto e sperato in un profondo rinnovamento del Festival di Sanremo - che tra pochi mesi spegnerà 72 candeline -, chi ci ha provato e poi c'è chi come Amadeus ci è riuscito. Contro ogni pronostico, bisogna doverosamente aggiungere, visto lo scetticismo di molti, tra addetti ai lavori ma anche fra il pubblico, quando nel 2019 venne fatto il suo nome come direttore artistico e conduttore della settantesima edizione, dopo il biennio Baglioni e il triennio Conti che avevano comunque segnato una netta ripresa della storica kermesse sia in termini di ascolti che di show e qualità musicale. Restava però da sciogliere un altro importante nodo. Quello del cast, ormai da tempo imbrigliato nella tagliola che andava dal potere dei nascenti e sempre più dilaganti talent alla voglia di ribalta di nuove o vecchie glorie. 

Sanremo, dunque, superati i leggendari anni '90 di Pippo Baudo che hanno visto sbocciare brani come 'Portami a ballare', 'Come saprei', 'Vorrei incontrarti fra cent'anni', e dove ancora partecipavano cantanti del calibro di Mia Martini, Andrea Bocelli e Renato Zero, non era più il palcoscenico dei grandi - o dei 'Big', nome tanto caro alla gara - ma un via vai di aspiranti tali, con la garanzia dell'immancabile 'quota veterani' a difenderne il prestigio. Non è un caso, infatti, che il nuovo millennio all'Ariston abbia principalmente lanciato emergenti o artisti ancora sconosciuti al pubblico decisamente mainstream quale quello sanremese. Diodato, Francesco Gabbani, Ermal Meta, Mahmood, Achille Lauro. Per citarne alcuni. Da tempo (troppo) i 'vecchi e cari' protagonisti della musica italiana a Sanremo ci andavano in veste di super ospiti e con oneroso cachet, oppure da conduttori o vallette. Insomma, come se sporcarsi le mani con la gara fosse diventata ormai roba per principianti. Meglio una comparsata, più o meno veloce, durante una delle cinque serate, preservando la tanto sudata nomina da star, o comunque più adeguato salire in cattedra recitando la parte di quello che è già arrivato. Che poi la verità, come confessò Rita Pavone in una nostra intervista, proprio a Sanremo, è che "chi fa questo mestiere non arriva mai". 

Oggi, invece, a meno di due mesi dalla 73esima edizione, la terza consecutiva firmata Amadeus, il nome di Gianni Morandi compare nella rosa dei 22 Big in gara, insieme a quello di Massimo Ranieri e Iva Zanicchi. Tre mostri sacri che a Sanremo - quando era Sanremo - hanno fatto la storia. Colpaccio, come lo definiscono in molti? Fiducia. Quella nei confronti del direttore artistico e dell'eccellente lavoro che è stato in grado di fare in due anni, ma anche nei confronti di un Festival tornato ad essere vetrina ambita da cantanti e discografici. Ma c'è pure Elisa, altra ex vincitrice, nel 2001, con 'Luce (tramonti a nord est)', come Emma Marrone che invece trionfò nel 2012 con 'Non è l'inferno' e nel 2015, dopo aver definitivamente spiccato il volo, co-condusse proprio accanto a Morandi. L'immagine dell'affermazione. Donatella Rettore in coppia con Ditonellapiaga - a proposito di novità e sperimentazioni -, la bomba Mahmood-Blanco, Fabrizio Moro. Sette ex vincitori su ventidue. Tanti altri habitué del podio e dintorni, da Noemi a Michele Bravi. E Achille Lauro, che dopo la consacrazione arrivata l'anno scorso, special guest di ogni serata con i suoi ricercati quanto discussi 'quadri', torna - ormai da re del punk rock italiano - ad essere uno fra tanti sul palco dell'Ariston. Perché in uno spettacolo così ne vale la pena. 

Un cast impensabile fino a qualche anno fa, segnale di una rinascita in cui pochi credevano e che affonda le radici proprio nel suo glorioso passato. Il rinnovamento di Amadeus sta nel linguaggio, nell'apertura musicale - premiata l'anno scorso con la vittoria dei Maneskin, diventati in una manciata di mesi un fenomeno mondiale -, nello show, nell'audacia di tentare, ma senza mai voltare pagina, capace di svecchiare il Festival riportandolo, allo stesso tempo, ai fasti di una volta e restituendogli reputazione e credibilità assenti da tempo. Impresa gloriosa che non riuscì neanche a Claudio Baglioni. Adesso Sanremo è di nuovo Sanremo. 

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