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Domenica, 28 Aprile 2024
Le proiezioni

Gli aumenti in busta paga fino a 120 euro con il taglio del cuneo fiscale e la riforma dell'Irpef

I calcoli della Fondazione nazionale dei commercialisti sull'effetto combinato delle due misure (da confermare nella prossima manovra, risorse finanziarie permettendo) sugli stipendi dei lavoratori dipendenti. Chi avrebbe i maggiori benefici? Ecco le proiezioni

Ci siamo: l'avvio della sessione di bilancio è previsto a fine settembre. Mancano pochi giorni. Il governo Meloni dovrebbe approvare la settimana prossima la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef): è il punto di partenza per la legge di bilancio 2024. In quel momento saranno più chiari gli effetti della riforma della tassazione sugli stipendi dei lavoratori e sulle pensioni, a partire dal prossimo anno. In attesa dell'approvazione, il governo ha già fatto sapere su quali direttrici si muoverà in occasione della prossima manovra. Tra le priorità per il 2024, risorse finanziarie permettendo, c'è il fisco, con la proroga del taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 35mila euro e la riforma dell'Irpef già tracciata nella legge sulla delega fiscale, approvata in via definitiva dal Parlamento. Fermo restando che siamo nel campo delle ipotesi e delle proiezioni, per il momento, quali potrebbero essere gli effetti delle due misure sugli stipendi dei lavoratori dipendenti? La Fondazione nazionale dei commercialisti ha calcolato gli aumenti in busta paga dal 1° gennaio 2024, ipotizzando che il governo confermi lo stanziamento di 14 miliardi di euro per gli interventi sul fisco.

Prima di vedere come potrebbero cambiare le buste paga, però, è necessaria una premessa. A differenza della riforma dell'Irpef, il taglio di sette punti percentuali del cuneo fiscale per i lavoratori che guadagnano fino a 25mila euro e di sei per i redditi tra 25 e 35mila euro è una misura già operativa almeno fino al 31 dicembre 2023, quando circa 14 milioni di lavoratori rischiano di subire una piccola decurtazione dello stipendio. Il cuneo fiscale è la somma delle imposte che impattano sul costo del lavoro: in sostanza è la differenza tra quanto un dipendente costa all'azienda che lo assume e quanto lo stesso dipendente incassa in concreto, al netto delle tasse, in busta paga. In Italia questo valore è da sempre molto alto, con effetti tangibili sul potere d'acquisto.

Come confermato nei giorni scorsi dal viceministro dell'economia Maurizio Leo (Fratelli d'Italia), la priorità è accompagnare la proroga del taglio al cuneo fiscale per tutto il 2024 con la riforma, anticipata dalla legge delega, che prevede l'accorpamento delle prime due aliquote dell'Irpef al 23% fino a 28mila euro. Le aliquote scenderebbero così da quattro a tre, ma c'è il nodo delle risorse finanziarie a disposizione, come abbiamo spiegato nel dettaglio in questo articolo.

Il problema del governo Meloni con le nuove aliquote Irpef

Il governo Meloni, in sostanza, ha un piano per la prossima legge di bilancio: accorpare i primi due scaglioni Irpef ed estendere l'aliquota più bassa, quella oggi al 23%, ai redditi fino a 28mila euro. L'esecutivo punta a mettere in campo questo intervento soprattutto per evitare che l'attuale sistema a quattro aliquote vada ad erodere i benefici del taglio del cuneo fiscale, che il governo punta a prorogare per tutto il 2024. Attualmente, l'Irpef ha quattro aliquote: 23%, fino a 15.000 euro; 25%, da 15.000,01 a 28.000 euro; 35%, da 28.000,01 a 50.000 euro; 43%, oltre i 50.000 euro. Tra gli obiettivi dichiarati (almeno a parole) c'è la riduzione delle aliquote dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, da quattro a tre, accorpando appunto i primi due scaglioni, nel rispetto "del principio di progressività e nella prospettiva di transizione del sistema verso l'aliquota impositiva unica" (cioè la flat tax). Ma c'è un problema, inutile girarci troppo intorno: i soldi a disposizione. Se la riduzione dei contributi previdenziali sembra avere già un posto sicuro in manovra, mentre invece è quasi del tutto sfumata la possibilità che parta già da quest'anno la detassazione delle tredicesime, l'intervento sull'Irpef è però in stand-by, in attesa di capire il quadro delle risorse finanziarie disponibili, che sarà più chiaro a fine settembre.

Fatte queste premesse, l'indagine della Fondazione nazionale dei commercialisti, per il Messaggero, stima possibili benefici differenti a seconda del reddito. Per un dipendente che guadagna 15mila euro l'anno, ad esempio, il taglio di sette punti del cuneo fiscale comporta un aumento di 67 euro al mese in busta paga, ma non ci sarebbero vantaggi aggiuntivi dall'eventuale riforma dell'Irpef, perché l'aliquota resterebbe invariata. Il "doppio beneficio" si manifesterebbe per i redditi dai 20mila euro in su: all'aumento di 77 euro per il taglio del cuneo si aggiungono gli effetti della rimodulazione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche. In questo caso, la busta paga mensile sarebbe più pesante di 84 euro. Per un lavoratore che guadagna 25mila euro annui, invece, il taglio farà lievitare la retribuzione mensile di 96 euro. Ma con il nuovo calcolo dell'Irpef l'aumento salirebbe a 112 euro.

Sempre secondo i calcoli di Fondazione nazionale dei commercialisti, l'incremento di 112 euro al mese varrebbe anche per coloro che percepiscono più di 25mila euro, con il taglio del cuneo fiscale che scende da sette a sei punti. La proiezione sugli stipendi stima gli effetti maggiori del doppio taglio per i redditi da 35mila euro annui: tra riduzione del cuneo fiscale e riforma dell'Irpef, infatti, gli aumenti si aggirano sui 120 euro al mese. Mentre la riduzione dei contributi a carico del lavoratore esaurisce i suoi effetti a 35mila euro, il taglio dell'Irpef si fa sentire su tutta la curva dell'imposta, quindi anche sui redditi più alti.

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