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Lunedì, 29 Aprile 2024
Deterrenza / Israele

Israele risponde all'Iran, la decisione del gabinetto di guerra: cosa succede ora

Netanyahu ragiona sullo scatenare una risposta "molto violenta" ma gli Stati Uniti fanno pressione: le ultime notizie

Israele risponderà all'attacco che ha subito dall'Iran, ma l'entità della reazione deve ancora essere decisa. Il gabinetto di guerra israeliano convocato dal primo ministro Benjamin Netanyahu ha deciso di reagire, senza però specificare quando e dove avverrà la rappresaglia. La notizia arriva dall'emittente televisiva pubblica Kan

"Siamo pronti, stiamo monitorando tutti i teatri nella regione e valutiamo ogni scenario, ma al momento non intendiamo estendere le nostre operazioni militari. Il nostro ruolo è salvaguardare gli israeliani", ha spiegato il portavoce dell'esercito israeliano, Daniel Hagari, che però poi ha aggiunto: "Rimaniamo in allerta, abbiamo approvato piani offensivi e difensivi, continueremo a proteggere lo Stato di Israele e costruire un futuro più stabile per la regione. Iran non è una minaccia solo per Israele ma per tutta la regione".

Il New York Times aveva rivelato che Netanyahu avrebbe annullato un attacco di ritorsione immediato dopo essere stato dissuaso dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Comunque, in caso di contrattacco, la Casa bianca non parteciperà. Diversi membri del gabinetto di guerra avevano chiesto a Netanyahu di rispondere subito. Ma la mancanza di gravi danni in Israele e il colloquio tra Biden e il premier israeliano hanno fatto sì che la rappresaglia non avesse luogo nell'immediato. Gli sviluppi di una potenziale nuova guerra dipenderanno da come Israele deciderà di reagire.

Cosa ha colpito l'Iran nell'attacco a Israele

L'Iron Dome israeliano, il sistema di difesa aerea tra i più avanzati al mondo, insieme all'azione di aeronautica e "sistema Arrow" hanno limitato i danni dell'attacco iraniano. "Mi risulta che contro Israele sono stati lanciati circa 360 diverse munizioni, 170 droni esplosivi, 30 missili cruise e 120 missili balistici", ha dichiarato alla Bbc il tenente colonnello Peter Lerner, un portavoce dell'esercito israeliano. "La grande maggioranza è stata intercettata", ha aggiunto.

Ma ci sono stati dei danni e degli obiettivi sono stati colpiti, anche se in maniera limitata, come mostrano i video diffusi. L'Iran ha comunicato di aver preso di mira la base aerea di Nevatim perché è da lì che sono decollati gli F-35 usati per colpire il consolato a Damasco il primo di aprile, come ha reso noto il capo di stato maggiore delle forze iraniane, il generale Mohammad Hossein Bagheri.

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Il raid contro la base del Negev, uno dei pochi non intercettati, ha provocato solo lievi danni, ha precisato Israele. Un altro obiettivo dei raid di Teheran, ha detto Bagheri, è stato anche un "grande centro di informazione" vicino al confine con la Siria.

Le intenzioni di Israele e la "pazienza strategica": come e dove può colpire in Iran

Intanto, l'Idf israeliano ha colpito un sito di Hezbollah nell'est del Libano, vicino al confine siriano, secondo quanto dichiarato dall'esercito israeliano e da una fonte del gruppo sostenuto dall'Iran. "I jet da combattimento hanno colpito un importante sito di produzione di armi di Hezbollah" nella zona di Nabi Sheet, nelle profondità del Libano".

Per il corrispondente esperto di guerra della Bbc, Frank Gardner, Israele "potrebbe ascoltare i suoi vicini nella regione ed esercitare quella che è conosciuta come "pazienza strategica" - si legge sul sito dell'emittente britannica - evitando di rispondere a tono e continuando invece a prendere di mira gli alleati per procura dell'Iran nella regione come Hezbollah in Libano o i siti di rifornimento militare in Siria, come lo fa da anni".

Israele potrebbe reagire con una serie di attacchi missilistici a lungo raggio simili, attentamente calibrati, colpendo solo le basi missilistiche da cui l'Iran ha lanciato l'attacco: "Ciò verrebbe comunque visto dall'Iran come un'escalation, poiché sarebbe la prima volta che Israele li attacca direttamente", spiega Gardner.

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L'altra opzione è quella per cui pare spingano alcuni componenti del gabinetto di guerra di Netanyahu: "Oppure, Israele potrebbe scegliere di salire un ulteriore gradino nella scala gerarchica, attaccando basi, campi di addestramento e centri di comando e controllo appartenenti al potente Corpo delle guardie rivoluzionarie iraniane".

Entrambe le ultime due opzioni rischiano di provocare ulteriori ritorsioni da parte dell'Iran e di trascinare dentro il conflitto anche gli Stati Uniti.

"Più di 330 droni, missili e razzi non sono solo un casus belli, sono una dichiarazione di guerra", dice il professor Kobi Michael, ricercatore senior all'Inss, Institute for national security studies israeliano, in un colloquio con l'Adnkronos.

''A poche ore da questo evento storico, la richiesta della comunità internazionale a Israele è di limitarsi a intercettare e abbattere droni e missili, anche con il supporto aereo di Stati Uniti, Regno Unito, persino Giordania, e di non reagire. Invece dovremmo creare immediatamente una nuova architettura regionale con due obiettivi: affrontare in modo efficace la questione palestinese e contrastare l'asse iraniano''.

Ma quale sarebbe la mossa più giusta per Israele? La risposta è netta: ''Colpire l'Iran nel suo territorio, magari proprio nelle infrastrutture usate per la costruzione dei droni che vengono usati per uccidere gli ucraini e dagli Houthi per attaccare navi civili nel Mar Rosso".

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Il precedente: quando Israele non reagì ai missili Scud di Saddam Hussein

Anche nel 1991 Israele venne attaccato da missili. Quella volta ad aggredire lo Stato ebraico fu l'Iraq. E, su pressione degli Usa, per la prima e finora unica volta Tel Aviv decise di non reagire, come in tanti gli stanno chiedendo di fare anche in queste ore. 

Tutto accadde all'inizio della prima guerra del Golfo, quando nella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1991 la coalizione iniziò il suo attacco, denominato operazione Desert Storm, per far ritirare gli iracheni dal Kuwait. Saddam rispose lanciando i suoi Scud su Haifa e Tel Aviv: una mossa dettata da ragioni strategiche più che ideologiche. L'obiettivo era trascinare Israele in guerra in modo da allontanare gli altri Stati arabi dal conflitto. Sapeva perfettamente che se lo Stato ebraico fosse entrato in guerra, gli alleati arabi cooptati dagli Stati Uniti nella coalizione anti-irachena si sarebbero trovati in una situazione estremamente complicata, ritirando l'appoggio.

Per questo motivo l'allora presidente americano, Bush padre, si adoperò molto affinché Israele non reagisse agli Scud. E per impedire che i missili di Saddam causassero una quantità di danni tale da scatenare la risposta israeliana, gli Stati Uniti schierarono rapidamente nel Paese alleato le batterie di difesa anti-missilistica, i famosi Patriot. In più dedicarono, secondo alcune stime, un terzo del loro sforzo bellico in Iraq alla ricerca e alla distruzione delle rampe di lancio di Saddam: compito non facile, considerando che gli Scud erano montati su rampe mobili sparse in tutto il deserto occidentale iracheno.

Quando quel 17 gennaio 1991 i primi Scud vennero lanciati dall'Iraq sulla regione centrale di Israele, lo Stato ebraico era comunque pronto a reagire. I jet delle forze aeree israeliane in effetti iniziarono a volare nei pressi del confine occidentale del Paese del Golfo, ma non lanciarono mai un attacco. Alcuni giorni dopo i primi Scud venne preparata una missione segreta di commando: truppe d'elite delle forze speciali israeliane vennero effettivamente caricate su elicotteri per un rapido intervento in Iraq, ma una telefonata dalle più alte sfere di Washington fermò gli apparecchi sulla pista.

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