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Venerdì, 26 Aprile 2024
Leggere il mondo

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A cura di Chiara Cecchini

"Numero Zero" di Umberto Eco, tra la strategia del complotto e il cattivo giornalismo

Nella Milano del giugno 1992, mentre tutto rovina, mentre le ideologie e i partiti che le avevano cavalcate spariscono, la mafia torna a fare ancora più paura e l’onestà sembra una parola ormai sconosciuta, si fonda un giornale per volere di un editore, un industriale che vuole buttarsi in politica e vuole farne più, che un mezzo di informazione, una macchina del fango che gli spiani la strada. Ma il giornale non uscirà mai, la redazione dovrà solo produrre una serie di numeri zero con i quali il Commendatore può mettere paura a politici e altri imprenditori che gli si oppongono. Questa la trama di "Numero Zero", l'ultimo romanzo di Umberto Eco, edito come sempre da Bompiani, che tra cattivo giornalismo e complotti svelati racconta com'era l'Italia al tempo di Tangetopoli ma anche come siamo tutt'ora. 

La redazione del quotidiano "Domani", guidata dallo spregiudicato direttore Simei, è un insieme raccogliticcio di precari dell’informazione, giovani inesperti che credono di aver trovato l’occasione della vita e non sanno che in realtà il loro giornale non uscirà mai. Sono coordinati da Colonna, uno scrittore fallito che si innamora di una delle redattrici, la misteriosa e tenera Maia, e che diventerà l’interlocutore privilegiato del cronista Braggadocio, paranoico indagatore dei più fitti misteri della storia repubblicana, convinto che Mussolini non sia morto ma viva protetto dal Vaticano e dall’Argentina, mentre l'uomo appeso a piazzale Loreto era solo un sosia. 

I perdenti, come gli autodidatti, hanno sempre conoscenze più vaste dei vincenti, se vuoi vincere devi sapere una cosa sola e non perdere tempo a saperle tutte, il piacere dell’erudizione è riservato ai perdenti. Più cose uno sa, più le cose non gli sono andate per il verso giusto

Niente in “Numero zero” è quello che sembra, a cominciare dal romanzo stesso, che poco sembra aver in comune con gli altri di Umberto Eco. I personaggi del libro sono diversi da quello che sembrano e tutti vivono all’interno di una “grande bugia”, che contribuiscono in vari modi ad alimentare. E’ una menzogna il giornale del Commendatore, nato già finto e con lo scopo di diffondere altre menzogne. E’ una menzogna il ruolo assunto da Colonna all’interno della redazione su chiamata di Simei. Le teorie di Braggadocio potrebbero essere una menzogna come pure potrebbero essere vere e se così fosse allora dal 1945 vivremmo in un grande inganno, la menzogna più grande di tutte. Purtroppo, però, ad essere veri sono i grandi fatti che hanno segnato - in negativo - la nostra storia: dal golpe Borghese all’assassinio di Falcone e Tangentopoli. E tristemente veri sono i piccoli, meschini artifici della stampa.

Fanno sorridere amaro le lezioni quotidiane di Simei ai suoi giornalisti, quando spiega loro tutti i trucchi per parlare alla pancia del lettore, come suscitare in lui curiosità verso fatti poco essenziali e distogliere la sua attenzione da quelli più importanti. Non fanno paura come quelle impartite dal fazioso e reazionario direttore interpretato da un luciferino Gian Maria Volonté in “Sbatti il mostro in prima pagina”, ma in realtà dovrebbero perché, in fondo, sappiamo che sono vere e quando apriamo un giornale ormai siamo sempre portati a chiederci quanto ci sia di vero e non partigiano in quello che leggiamo.

“I giornali mentono, gli storici mentono, la televisione oggi mente”

Nonostante alcuni momenti godibili, "Numero zero" non è probabilmente tra i migliori libri del professore di Alessandria. E su internet c'è anche chi lo accusa (con dovizia di particolari e prove) di aver copiato da Wikipedia alcune frasi dalla voce sul venerabile Licio Gelli. 

Eco rincorre ancora una volta il tema dell'inganno e della menzogna, che tante volte ha già raccontato, con una trama e dei personaggi che ben poco hanno di reale. L'intreccio giallo non ha la potenza de "Il nome della rosa" né de "Il pendolo di Foucault". Lo salva ancora una volta l'ironia, che fa andare oltre la prolissità di alcune pagine e di alcune lunghe citazioni. Ma siccome niente è quello che sembra, "Numero zero" può apparire come un libro non riuscito mentre in realtà è un potente trattato sui mali del giornalismo e della società italiana. 

Umberto Eco irride il giornalismo italiano (compreso un infinito elenco di frasi fatte che andrebbe stampato e appeso in molte redazioni), senza risparmiare nemmeno la pagine degli oroscopi. Ma mette anche in guardia sul pericolo dell’indifferenza, alimentata da una stampa che non ha saputo o voluto essere davvero "il cane da guardia del potere". Le sgangherate ipotesi di Braggadocio sono in realtà da sempre sotto gli occhi di tutti, ma nessuno ha mai voluto “unire i punti” e persino quando l’autorevole BBC dimostra che, dietro quelle fantasie, c’è una verità scomoda e pericolosa nulla cambierà, anzi. Perché «l’unico problema serio per il buon cittadino è non pagare le tasse, e poi quelli che comandano facciano quel che vogliono, tanto è sempre la solita mangiatoia», in un paese «dove le cose continueranno ad andare come sono andate» e dove «siamo riusciti prima ad accettare e poi a dimenticare».

Tra una lezione di giornalismo e un'elegia a Milano (una «Milano che non dovrebbe più esserci», quella dei navigli, dei vicoli bui e pericolosi, delle case di ringhiera), tra una lieve storia d’amore che unisce un intellettuale fallito di mezz’età e una giovane e ingenua aspirante giornalista che poi diventerà una «lupa» per difenderlo e divagazioni complottistiche, si resta frastornati quando piano piano il quadro inizia a farsi più chiaro e tutto sembra trovare una spiegazione (terribile, perché lega insieme Gladio, la strategia del terrore, la P2, la misteriosa morte di papa Luciani, la mafia, gli interventi di Cia e Nato, i servizi segreti, la politica). «Frastornati», come Colonna e Maia dopo aver visto il documentario della BBC, che decideranno di restare «fuori dai giochi», mentre ormai tutto quello che un tempo restava nell’ombra ha trovato legittimazione: «corruzione autorizzata, il mafioso ufficialmente in parlamento, l’evasore al governo e in galera solo i ladri di pollame albanese». Nel 1992 come 2015. 

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