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Lunedì, 29 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

C'è sempre voglia di nuovo in città

L'ansia di nuovo volenti o nolenti ci pervade sempre, come dimostra e ribadisce per esempio anche la corsa di questo Natale della ripresina economica verso qualche consumo effimero e voluttuario, a riempire ipermercati e strade commerciali. Dove magari con la scusa di favorire la mobilità dolce qualcuno si comprerà anche (a carissimo prezzo tra parentesi) quelle biciclette di moda con le ruote da furgoncino, utili magari per fare delle corse sulle dune di sabbia della Parigi-Dakar, ma dalla praticità quantomeno discutibile per portare il pupo all'asilo. Ma la voglia di nuovo e genericamente moderno, o tecnologico che sia, pare un nostro carattere cromosomico, e mi ricorda quando un po' di anni fa nei piccoli centri umbri e marchigiani colpiti dal famoso terremoto, e in avanzato stadio di ricostruzione delle città storiche, si poteva assistere a una curiosa schizofrenia socio-spaziale: gli adulti e gli anziani abitavano gli edifici e gli spazi pubblici tradizionali ricostruiti rigorosamente e filologicamente «com'era dov'era», mentre i giovani si concentravano soprattutto nei luoghi effimeri e in via di avanzato smantellamento fatti di baracche, cupole geodesiche, piazzali polverosi o fangosi dall'aria poco ospitale, che per loro evidentemente apparivano però assai più moderni e accoglienti del mondo adulto e conservatore rappresentato dalla piazza del paese.

E la stessa ansia di nuovo la si è rivista in questi ultimi giorni là dove di solito in Italia si manifesta con più evidenza, ovvero a Milano, già capitale 2015 dell'innovazione urbanistica coi nuovi popolarissimi quartieri di grattacieli puntualmente invasi da folle col naso all'insù, poi mecca dell'alimentazione (discutibilmente) sostenibile del pianeta accoppiata all'architettura postmoderna da parco a tema, e adesso scenario di un piccolo psicodramma per il riuso degli scali ferroviari in dismissione. È accaduto infatti che l'accordo di programma con le ferrovie per la riqualificazione urbana di questi svariati milioni di metri quadri, collocati in aree chiave del centro, sia stata bocciato per motivi apparentemente oscuri dopo un lungo e delicato iter, quando i giochi parevano già fatti.

Sui giornali e sui social network si è subito scatenata la ridda dei commenti: un'occasione storica mancata, e tutta colpa di chi manovra dall'esterno per sabotare il futuro; macché, si replica dall'altro fronte, semplicemente un gruppo di componenti della maggioranza si è sfilato all'ultimo momento per questioni di contenuti, perché si concedeva troppo alla speculazione. Comunque la si voglia vedere, la questione resta comunque ben ancorata all'idea di futuro che irradia da quei fasci di binari deserti: chi riesce a proiettarci meglio la sua idea? Chi la illumina con un autentico fascio di sole dell'avvenire, e non col lumicino della nostalgia, che va bene giusto quando si è un po' giù di morale? Perché si sa che, dopo Natale, spente le candeline e rimessi negli scatoloni gli addobbi, a quello bisognerà pensare, per tirarsi su l'umore, al futuro, mica alle brumose nebbie da cui cerchiamo tutti in un modo o nell'altro di districarci.

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