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Martedì, 30 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Egemonia soggettiva sullo spazio pubblico

È normale essere lievemente infastiditi quando qualcuno "occupa" uno spazio che ci stavamo godendo in esclusiva. Il lieve fastidio si può però trasformare in qualcos'altro a determinate condizioni, che a loro volta dipendono sia dalla qualità dello spazio che dalla cultura o incultura della condivisione che ne permea l'utenza. Il primo semplicissimo esempio che mi sovviene per iniziare la riflessione non riguarda neppure uno spazio pubblico in senso stretto, ma che ne ha alcune caratteristiche base comuni, come quello di un ballatoio condominiale. Dove capita continuamente di assistere a una miriade di usi, abusi, e dove un tipo scivola facilissimamente dentro l'altro senza alcuna vera intenzionalità e consapevolezza. Quasi spontaneo che chi sul ballatoio affaccia la porta di ingresso e qualche finestrella di servizio consideri quella stretta striscia uno spazio sostanzialmente di pertinenza della casa privata su cui i vicini hanno un diritto di passaggio. E che esprima quello spontaneo quasi legittimo istinto proprietario (la comproprietà in fondo è una forma di proprietà) collocandoci qualche chiaro segnale in quel senso: il portaombrelli accanto alla porta, il vaso di gerani sulla ringhiera, o sul davanzale. Percepiti come tali da chi la striscia del ballatoio la percorre obbligatoriamente per raggiungere gli altri ingressi, ma su cui cambiano i giudizi di legittimità e proprietà.

Se il proprietario e gli altri utenti hanno qualche condivisa cultura dello spazio pubblico quegli oggetti segnaletici non interferiranno più di tanto con le altre utenze e verranno tranquillamente accettati. Se quella cultura manca da una parte o dall'altra o da entrambe, nasceranno conflitti e incomprensioni per ciò che viene percepito come abuso o indebita pretesa. L'immagine più significativa del – superficiale ma evidente – conflitto sono coloro che di fatto considerano e usano quella striscia di passaggio comune come se fosse un balcone, ci si affacciano a lungo, tocca chiedergli permesso scusi per passare e andare a casa propria, mollano lì di traverso qualche masserizia casalinga per ore o intere giornate. Ma una volta chiariti i termini essenziali proviamo a cambiare ambiente spostandoci in uno più complesso ma noteremo quanto analogo, come il portico affacciato sulla strada. Che col ballatoio condivide per esempio la natura di «spazio privato con servitù di pubblico passaggio» letteralmente scavato come è dentro gli edifici, zona coperta-aperta che unisce natura pubblica-condivisa e aspirazioni proprietarie particolari. L'esercente ci mette i tavolini, o le merci che stanno meglio fuori che dentro, chi passa accetta come ricchezza o respinge come ostacolo. Ma anche il passante qui vista la complessità maggiore rispetto al ballatoio ha i suoi istinti privatizzatori: per esempio il genere di passante totalmente ignaro della distinzione tra condiviso pubblico e privato.

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L'esempio migliore di questa tipologia è il senza casa che se la ritaglia, la sua casa, nella striscia coperta del portico, delimita il territorio coi cartoni, lo allarga eventualmente coi suoi rifiuti sparsi ad hoc (in fondo lo facciamo spesso tutti campeggiando in spiaggia o nel picnic) e rivendica possesso in bilico tra il temporaneo o il definitivo accanto alla fioriera o al cestino delle cartacce. La perplessità o comprensione di chi passa frettoloso o si siede ai tavolini del bar lì accanto possiamo considerarla identica a quella di chi sul ballatoio schivava il vaso di gerani troppo ingombrante o il portaombrelli sporgente: che ci fa questo qui sul mio legittimo passaggio? Ne ha diritto? Tutto il resto ovviamente è soggettivo e dipende dalle culture dello spazio e della convivenza

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Ma c'è un ulteriore passaggio della medesima ambiguità dove vengono coinvolti altri soggetti, e riguarda l'allargarsi ulteriore (recente e interessante) degli spazi commerciali fuori dalla striscia del portico, verso un altro spazio pubblico chiave che è quello della strada. I cosiddetti "dehor" sia spontanei abusivi tollerati che regolamentati e co-progettati dalla pubblica amministrazione, diffusi specie nel periodo della pandemia e del distanziamento sanitario, a ri-colonizzare la carreggiata ad usi umani anziché solo veicolari. Qui le famiglie diventano tre anziché solo due: l'utente passante portatore dell'approccio pubblico-condiviso, il privatizzatore spontaneo per avidità o incultura, e infine il veicolo meccanico con la sua logica prepotente che ben conosciamo. Ma ne riparleremo sicuramente perché di carne al fuoco ce n'è molta altra.

La Città Conquistatrice – Spazio Pubblico 

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