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Lunedì, 29 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Il Mussolini Urbanista che c'è in noi

Qualcuno, stavolta per le polemiche varie sulle elezioni comunali di Roma, ha di nuovo tirato in ballo la favola del Mussolini Urbanista, e di nuovo si sono scatenate le risse ideologiche improprie tra destra e sinistra, quasi tutti rigorosamente intenti ad abbaiare al dito mentre la luna passa indisturbata. Poco nota ai più quella frase del tutto chiarificatrice con cui l'intellettuale fascista di fronda Giuseppe Bottai, all'epoca ministro della Cultura, inaugurava nel 1937 il primo congresso INU: "L'urbanistica è, essa stessa, una politica … Nel fondo di questa politica, bisogna anche prospettarsi la funzione dei nuovi organismi, nati dalla vita politica". Ecco, quel che continua a sfuggire sia ai cantori che agli oppositori virtuali postumi del cosiddetto Mussolini Urbanista, è che nessuno si è mai sognato di confondere il piano col progetto, anche se ovviamente i simboli possono giocare un loro ruolo.

Cosa ci sta dicendo ancora, di abbastanza ovvio dopo tanto tempo, il ministro Bottai? Che se le strategie per la città sono cosa unica con la politica, pensarle avvitate a un certo modello superficiale di spazio, o addirittura di soluzione tecnico-estetica, è una sciocchezza madornale. Guardata in altri termini ma da una prospettiva analoga, la stessa cosa significa che non c'è nulla di giusto o sbagliato a prescindere in certe forme e modi di funzionamento di una parte di città, il giudizio si deve spostare sul metodo e sugli obiettivi: dovrebbe allora saltare all'occhio quanto il metodo fascista (top down diremmo oggi) della decisione politica autoritaria faccia a cazzotti con una società democratica e dichiaratamente antigerarchica come quella attuale.

Da pochi giorni è stato pubblicato da ONU-Habitat il rapporto 2016 sulle città, "Urbanization and Development – Emerging Futures", dove quell'ovvia retorica decisionista, retaggio dell'epoca vuoi totalitaria, vuoi colonialista, vuoi delle élites sociali, tecniche, culturali, è indicata esattamente come il feticcio di cui liberarsi. Uno dei capitoli centrali del rapporto è infatti dedicato alle forme partecipative e alla costruzione delle politiche urbane "bottom up", inclusive, egualitarie, e che ovviamente riguardano ben altro che non qualche prospettiva da archistar, del tipo che la maggior parte dei cittadini si limita a guardare da lontano con più o meno interesse. L'urbanistica politica del terzo millennio è invece fatta di aspirazioni generali in grado di tradursi in spazi, flussi, servizi, non certo di progettini personali sommati aritmeticamente a comporre un disegno urbano, il semaforo che piace alla signora Pina qui, la facciata gradita al Comitato Locale e progettata dal consulente architetto amico là, e così via. Certo, poi gli spazi fisici contano, la loro efficienza, il loro comunicare valori condivisi anche esteticamente, i contenuti ambientali, la sostenibilità come è di moda dire, o la resilienza a eventuali eventi catastrofici. Ma quel che conta, oggi, non è straparlare di urbanistica fascista o urbanistica antifascista, pensando a un paio di orpelli estetici. Conta saper interpretare politicamente lo spirito del tempo, e tradurlo democraticamente in città. Oppure parliamo d'altro.

Su La Città Conquistatrice molti articoli dedicati alla figura dell'Urbanista singolo e collettivo, a come cambia nel tempo e cos'è oggi

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