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Venerdì, 26 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

La variante Brambilloni e altre strategie urbane

Il problema centrale delle politiche urbane è che di solito vengono determinate gestite metabolizzate dai politici urbani. Il cui livello culturale e di consapevolezza del proprio potere è sempre tutto da valutare di solito prudentemente al ribasso visto il riscontro pratico. Quanti (di solito piccoli e sostanzialmente rimediabili, altri meno) disastri di scala sia locale che vasta sono stati determinati dallo scambiare interessi particolari per generali, piani per progetti, mezzi per fini. Nella convinzione che qualunque cosa passata attraverso l'ego del decisore di turno assumesse toni e dimensione nobile. Le questioni ambientali e di sviluppo locale per esempio, un classicissimo grande tema da prima ancora che esplodessero le attuali crisi energetica e climatica, per non parlare delle si spera in parte rientrata questione sanitaria emersa dalla pandemia. Metropoli cresciute meccanicamente nel segno dell'auto per mezzo secolo e che verso gli anni centrali del '900 iniziavano a soffocarci sotto cercando rimedi diversi dalla speranza in una meccanica industriale migliore.

E provvisoriamente trovandola nelle isole pilota della pedonalizzazione: isole nel tempo come le mitiche domeniche a piedi delle carrozzelle a cavalli, o isole nello spazio quando si parlava di tratti di via pedonalizzati col porfido, i cestini, i lampioni in stile, le fioriere. E quelli che si lamentavano perché non è democratico escludere così un simbolo di progresso come l'automobile.

Fin qui i fatti. Ma il principio che ne possiamo ricavare pur spannometricamente, è che chiudere al traffico qualche tratto di strada centrale, in genere commerciale, delle città, fosse un piccolo esperimento di laboratorio, esperimento pilota, dentro una politica più generale che diceva: «le città sono delle persone e non delle automobili». Ognuno poi può trarre conclusioni personali, o anche contestare il principio per esempio sulla base della irrinunciabilità dell'auto come protesi umana, ma le cose stanno più o meno così.

Però dipende da come la cosa viene interpretata dal politico locale, contingentemente o meno: la pedonalizzazione è un fine o un mezzo? E un fine o un mezzo per che cosa esattamente? Il modo in cui viene presentato dalla stampa e discusso dall'opinione pubblica sui media l'ultimo mega-progetto di pedonalizzazione milanese sembrerebbe dirci che la pedonalizzazione è un fine, è buona, è fondamentale: «costruisce città» in senso lato. E allora vediamolo, di quale città si tratta, con una semplice occhiata a quel che succede nelle zone sottoposte a pedonalizzazione. La quale non dimentichiamocelo è un progetto stradale, non urbanistico in senso stretto, anche se di effetti urbanistici poi, e pure sociali ed economici, ne ha tantissimi.

Una pedonalizzazione «compare dentro il piano del traffico» e ne costituisce una variante perché ovviamente tutti i flussi dovranno cambiare: i veicoli che prima passavano da lì non ci passeranno più (o non ci passeranno più in quelle modalità, quantità, velocità, frequenza). Le trasformazioni fisiche sono minime e al limite del simbolico. La strada resta perfettamente identica a prima, a volte cambia la pavimentazione, qualche arredo, eventuali chioschi di tipo commerciale o aiuole o alberature o fioriere spesso a contrassegnare il confine della zona pedonalizzata. Ma la trasformazione principale è quella non pianificata, lasciata all'azione del libero mercato, commerciale e immobiliare. Esercizi ed esercenti cambiano, di solito riposizionandosi sia di fascia economica che di tipologia: ai negozi di quartiere se ne sostituiscono altri con una offerta di area ampia e beni più di lusso, lo stesso succede per bar e ristoranti, e alla generale occupazione tipica dei piani terreni, spesso anche dell'interno dei cortili o dell'imbocco di strade perpendicolari trasformate in vicoli a fondo cieco.

Mentre ai piani superiori la riorganizzazione proprietaria di medio periodo quasi sempre si risolve in un allargamento delle attività terziarie ed espulsione di residenza. Quel progetto (dato che di progetto si tratta e non di piano-programma a tenero conto di variabili complesse) è in realtà una specie di palinsesto per uno smisurato Shopping Mall Urbano in cui agli elettori cittadini originari, residenti negozianti ecc., si sostituiscono city users e interessi altri. Lo capisce il decisore? Forse si, forse no, ma non importa gran che. L'importante è che ci si ricordi di chi ha preso quella grande decisione per trasformare la «città». L'Assessore Brambilloni a cui faranno magari un monumento in memoria. Che poi in realtà la città la si sia cancellata «noi non potevamo certo sapere» recita la formula prestampata.

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