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Venerdì, 26 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Lo SMOG dello spazio

«Si sarà accorto che qui è una città incredibile! Cosa vuole che me ne sia accorto! salvo il fatto che qui si deve vivere praticamente in automobile!» Una delle prime esclamazioni di Vittorio Ciocchetti - avvocato romano protagonista di Smog, impersonato da Enrico Maria Salerno - che descrive perfettamente la realtà in cui si trova a vivere e muoversi, una volta catapultato nel futuro, a lui sconosciuto, di Los Angeles. Un futuro anticipato dalle forme e dagli spazi asettico-modernisti che lo attendono all’aeroporto. Paesaggi urbani e architettonici che riappariranno costantemente durante il suo scalo di due giorni negli USA, in attesa di approdare in Messico dove lo attende una causa di divorzio.Inizia così questo film del ‘62, con dieci minuti di completa e totalmente solitaria camminata lungo le strade, dove non incontra un solo pedone, oltre a se stesso riflesso sui finestrini e sulle vetrine.

Alla fine di quella lunga passeggiata avrà però modo di incontrare un altro protagonista, Mario (Renato Salvadori) giovane speranzoso di sfruttare le opportunità di questo paese, che lo introdurrà dalla porta della cucina nella ricca e fortunata comunità italo-americana. Gli farà conoscere anche una modella, Gabriella (Anne Girardot), protagonista femminile fuggita dal mondo tradizionalista per immergersi nelle libertá.

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Il film, regia di Franco Rossi, cadde subito nel dimenticatoio, sia del pubblico che della critica, complice anche il fallimento della casa di produzione che lo vendette ad una concorrente statunitense. Riscoperto, nel corso del 2022 è stato proiettato nel festival «Il Cinema Ritrovato». È un’indagine fotograficamente raffinata (direttore: Ted D. McCord) del mondo futuro che aspetta anche il Vecchio Continente. Diverso nell’intensità e nelle forme, ma sostanzialmente coincidente nei comportamenti derivanti dalla dissoluzione dello spazio urbano causata dall’avanzare della dispersione urbana. Relazioni umane spezzate dai parabrezzi delle auto. Un paesaggio, paradossalmente, quasi claustrofobico se visto dalla ristrettezza dell’abitacolo. Scesi dall’auto, i protagonisti, entrano nelle architetture astratte - dipinte come disumane dal protagonista: «lei davvero pensa che qui ci possano essere sentimenti, affetti, tutto quello che la famiglia…» - dove gli autori esprimono al meglio il loro moralismo rispetto al linguaggio modernista.

Il contrasto è sottolineato dall’assenza di relazioni e di vita rispetto ad altre scene, ambientate in architetture dalle forme tradizionali, dove la presenza umana, le voci, i suoni e le risate, diventano assai più facilmente protagonisti prevalendo sul contenitore; comunque quasi sempre villette unifamiliari o, al massimo, i loro «accessori» suburbani. Diatriba (modernismo/tradizionalismo) che ha intessuto l’intero dibattito del ‘900 ma che per molti versi sarà superata dagli sviluppi tecnici edilizi contemporanei che hanno permesso una diffusione e accettazione di tali linguaggi come moda tra le mode. Resta invece profondamente attuale la questione della dispersione, del traffico, della dipendenza dalle automobili che circonda i protagonisti come tuttora circonda le nostre vite. Non esiste innovazione tecnica che ne possa sanare ferite e insostenibilità. «Accidenti! siamo fermi!» esclama Gabriella con un gesto di insofferenza della mano mentre si incolonnano in quel traffico generato dalla densità di auto per abitante: «ma lei lo sa che abbiamo quasi due macchine a testa qui in California?».

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