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Lunedì, 29 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Nuovo giallo di Gianni Biondillo: hanno assassinato la Storia dell'Architettura

Quando abitiamo le nostre città siamo piuttosto spontaneamente consapevoli del fatto che sono complesse e contraddittorie: al tempo stesso belle e brutte, buone e cattive, sicure e pericolose eccetera eccetera. Capiamo anche altrettanto confusamente come quella complessità e contraddizioni siano sempre irriducibili a quello che ci spiegano le varie memorie di qualcuno in qualche modo e misura interessato da dare un senso compiuto e lineare. Perché la sua è una tesi soggettiva, buona dentro un laboratorio ma meno buona quando dal laboratorio si esce per strada per andare a casa a fare altri esperimenti. Insomma nessuno di noi accetta per buona la spiegazione tecnica dell'ingegnere sull'utilità di un cordolo quando quel cordolo ci ha aperto in due i pantaloni scivolandoci sopra. E neppure la critica d'arte estasiata per quell'edificio che ci incombe addosso orrendo durante le pause pranzo. In fondo è la contraddizione fra storia e memorie, che anche lei va benissimo fin quando non si confondono i termini: la storia è un processo in divenire, la memoria un fatto più o meno compiuto, una specie di pietrificazione difficile da modificare. Succede con tutto, con l'esperienza quotidiana che chiamiamo città così come con le architetture che contribuiscono a comporla. Confondere è sbagliato, specie quando si mischia la memoria degli architetti con la Storia dell'Architettura. Purtroppo è quel che è stato fatto a lungo, e ancora si fa, fin dentro le scuole di livello universitario, quelle che l'Architettura dovrebbero insegnarla come disciplina, tecnica di progetto e altro.

Proprio quello che chiamo «altro» pare un pochino sospeso nella focalizzazione sul formare progettisti pronti a un mercato del lavoro dove la cultura pare avere un ruolo piuttosto marginale, salvo se si tratta di valorizzazione culturale: ovvero di arricchimento del prodotto con qualità aggiunte per non dire posticce. E dove per Storia dell'Architettura si finisce a volte per intendere Memoria dei Prestigiosi Maestri, memoria acquisita peraltro ad assetto variabile a seconda chi soggettivamente finisce per comunicarla. In altre parole la storia dell'architettura che si insegna ai futuri professionisti è in realtà una specie di manuale di citazioni scelte per cercarsi riferimenti alti e colti, come quelle raccolte che non mancavano mai nei cataloghi degli Editori e adesso dilagano sul web avido di «Cit.». E tra le vittime di questo piuttosto goffo strabismo formativo finiscono per figurare anche coloro che poi in realtà fanno tutt'altro che il progettista di edifici o ristrutturatore di cascinali di collina, come l'ottimo scrittore e giallista Gianni Biondillo, il quale nonostante il consolidato successo letterario continua ad essere cultore e appassionato dei suoi studi universitari al Politecnico di Milano. Là maestri e letture parallele gli hanno impartito evidentemente la classica memoria piuttosto corporativa degli «architetti modernisti padri della patria democratica e progressista». Una tesi come un'altra, certo, che però sia quando viene impartita da una cattedra sia quando come nel caso di Gianni Biondillo diventa addirittura saggio-fiction, rivolta a un vasto pubblico, dovrebbe essere dotata di adeguati ammortizzatori.

Che invece in Quello Che Noi Non Siamo (Guanda 2023) manca, e manca nonostante la precisazione che di opera narrativa e non saggistica si tratta, nonostante l'altra precisazione che tutto quanto viene riferito, a volte parola per parola nei dialoghi dei protagonisti, non è invenzione ma ricomposizione di fonti. Insomma il lettore appassionato dalle vicende del mondo dell'arte della critica e dell'architettura italiana, nel periodo tra le due guerre mondiali e la Resistenza, attraversa centinaia di pagine in cui le discussioni sui progetti, la pubblicistica, i convegni e il ruolo sociale e politico dell'architetto paiono davvero filtrati dalla Storia o almeno da una sua considerevole fetta, che è quella dell'Italia contemporanea, repubblicana e costituzionale. Le cui radici sarebbero da cercare anche in quelle discussioni al bar o in studio fra studenti, professionisti affermati o esordienti, accademici, familiari attenti e cooperativi. Qualcuno di quegli architetti era convinto fascista, qualcun altro tiepido o indifferente, altri da subito antifascisti e poi militanti partigiani, ma tutti portatori di una fiammella comune, che dal modernismo delle avanguardie da cui discendono ricostruisce un modello di arte, professione, società e politica nuovo. Che, ripeto, è una legittima tesi non a caso sviluppata e pure tramandata in accademia, ma non coincide affatto con la Storia dell'Architettura e men che meno con quella dell'Italia comunque intesa. È una memoria di gruppo, che una scrittura un po' più esplicita, anche solo attraverso la citazione delle fonti documentali, avrebbe dovuto dichiarare.

Gianni Biondillo, Quello che noi non siamo, presentazione La Triennale

Nuovo giallo di Gianni Biondillo: hanno assassinato la Storia dell'Architettura

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