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Domenica, 28 Aprile 2024
Città conquistatrice

Città conquistatrice

A cura di Fabrizio Bottini

Surrealismo Autostradale Urbano

Alcuni anni fa tra le critiche che superficialmente parevano più azzeccate al surreale progetto lombardo della Bre.Be.Mi., di suo una specie di complanare o controviale multicorsia della storica Padana Superiore 11, era il fatto di collegare, cito a memoria ma più o meno alla lettera: «un campo di granturco in un indefinito comune a sud di Brescia con un altro campo di granoturco alla periferia di Melzo». Un'osservazione che certo corrispondeva alla realtà, di quella cortocircuitazione multicorsia tra due non-luoghi e svariante non-funzioni, ma che insieme a tante altre opposizioni critiche (da quelle finanziarie-organizzative, a quelle tecnico-trasportistiche, a quelle di politica ambientale) non coglieva il punto, di fatto poi come vedremo essenziale quando si tratta di queste opere: l'autoreferenzialità. Rafforzata da quello che sin dai primordi, perlomeno da quelli più importanti americani nonostante il primato italiano, dal non dover affatto rispondere al pur dichiarato ruolo di «collegamento tra Origine A e Destinazione B» ma piuttosto neutro «convogliatore di flussi» che magari in teoria potevano pure andare da un'altra parte, per renderli funzionali a un modello di sviluppo. Questo almeno fin che quello sviluppo lineare di corsie asfaltate riservate, senza incroci diretti con la viabilità ordinaria, si distende sul territorio regionale per cui era originariamente concepito.

Le cose cambiano, e di parecchio, quando a qualcuno viene in mente che, come successo alle ferrovie nel XIX secolo, anche le autostrade devono organizzarsi organicamente in un sistema a rete inter-city interconnesso. Ma non solo questo, e qui arriviamo alla vera transustanziazione: a differenza della ferrovia, che scambia a cintura o si ferma alla stazione di testa, l'autostrada tende quasi spontaneamente a «fondersi dentro la viabilità ordinaria». Però conservando la propria logica autoreferenziale, ovvero ignorando il contesto in cui opera. Là dove tradizionalmente la strada, indipendentemente da dimensioni, sviluppo, organizzazione, era sempre stata uno spazio pubblico che interagisce con quello privato, con le attività, con le relazioni, e che per questo accoglie anche i flussi, l'autostrada è solo contenitore di flussi, e di flussi selezionati. Gli sventramenti del Prefetto Haussmann a Parigi per trasformare la capitale francese nel simbolo della modernità, sono caratterizzati dai boulevard di collegamento tra le varie zone delle grandi stazioni di testa. Gli sventramenti di tipo autostradale invece procedono come se quel treno, proseguendo la propria corsa, abbattesse gli edifici, aprendosi la strada verso … verso dove in realtà pare importare davvero poco. Ci pensavo, a questo assurdo, qualche giorno fa guardando una vecchia foto di Milano.

È una ripresa dall'alto dell'area Portello, dell'epoca in cui ancora ci stavano, a cavallo dei due lati della circonvallazione in sopraelevata (già a suo modo autostradale), gli stabilimenti dell'Alfa Romeo. In alto a sinistra si nota il Monte Stella che sovrasta il quartiere sperimentale QT8, col parco tutto ancora da realizzare. A tagliare verticalmente l'immagine la vera e propria autostrada a scorrimento veloce di viale Scarampo, che dal recinto della Fiera Campionaria punta verso la Milano Laghi e la Milano Venezia. Singolare anche l'incrocio tra il percorso anulare e quello radiale, che si sviluppa su ben tre livelli con cavalcavia e sottopassaggio. E viene da chiedersi perché mai a nessuno sia venuto in mente di realizzare uno svincolo, proprio dove pareva più logico e importante, invece di quel goffissimo e pericoloso sistema semaforizzato, quando a incrociarsi non sono certo due stradine secondarie. E la risposta, per chi conosce un pochino la storia di quei luoghi suona sconsolante: è l'autoreferenzialità dell'opera da Origine A a Destinazione B, del tutto indifferente (salvo indignate dichiarazioni contrarie) alla ragione ufficiale di gestione del flussi che ne sottende i corposi investimenti e impatti, sia ambientali che sociali. Quello che succede è diversissimo da qualunque idea di «strada urbana».

Senza nessun rapporto con lo spazio-tempo e neppure coi flussi reali, che qui sono sostanzialmente quelli degli utenti suburbani-regionali della città, i progetti tecnici chiavi in mano di spezzoni autostradali sono scaraventati sul territorio: si espropria, eventualmente si demolisce, si recide qualunque contatto o scambio con ciò che fisicamente sta attorno ma che la macchina di cemento guardrail e asfalto ignora, ed ecco che dove prima c'erano vie e quartieri compare solo e soltanto un blocco di corsie. Blocco a sua volta subito bloccato peraltro, visto che la mitica Origine A e Destinazione B qui sono, come sempre, due «campi di granoturco nel nulla», ovvero in città di solito due colli di bottiglia del traffico lasciati irrisolti da questa logica meccanica. Che immediatamente propone un'altra opera autoreferenziale per risolvere il problema creando il prossimo …. In fondo l'aveva capito benissimo da solo Henry Ford che del modernismo architettonico-urbanistico non sapeva che farsene: la città moderna è finita, quel che doveva dare l'ha già dato nel XIX secolo, prendiamo l'automobile e andiamocene da lì. Di solito a costruircene un'altra uguale e peggiore.

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